il caso

Trento, vende l'auto al truffatore: fa causa alla banca

Il pensionato, malato di tumore, ha perso 36 mila euro. L’impiegata dell’istituto era stata ingannata e aveva assicurato che il vaglia falsificato era coperto


di Luca Marognoli


TRENTO. Un’auto da 36 mila euro pagata con un vaglia postale contraffatto, originariamente emesso per un valore di 13 euro. Un pensionato che decide di vendere la sua Mercedes Cla perché malato di tumore e che si ritrova truffato. Un noto istituto di credito locale che lo rassicura sulla copertura del vaglia ma che si fa raggirare esso stesso e poi scarica la responsabilità su di lui, il cliente, arrivando anche ad ipotizzare che sia complice dei truffatori. Ha di che infuriarsi, e non nasconde di averlo fatto - non poco - con il direttore della banca, il pensionato protagonista di questa vicenda sventurata - un misto di raggiri e presunte negligenze - che ora si appresta a fare causa all’istituto di credito. Oltre al danno c’è la beffa derivata dal fatto che l’uomo, assistito dal legale Vittorio Cristanelli, è stato per una vita liquidatore di sinistri. L’essersi rivolto alla banca per le verifiche sul pagamento, però, non è bastato a tutelarlo e mentre la sua auto è probabilmente finita in Romania, dei soldi non c’è più traccia.

Tutto inizia nell’ottobre 2014 quando il pensionato decide di vendere l’auto acquistata neppure un anno prima e con soli 9.500 chilometri percorsi. «Io ero malato, mia moglie non guidava e stavamo anche ristrutturando l’appartamento», racconta. Pubblicato l’annuncio su alcuni siti specializzati, viene contattato prima da alcuni venditori di auto monomarca, che “tirano” molto sul prezzo, poi da un bresciano di origine egiziana che si dimostra interessato e disposto a pagare la cifra richiesta. Il potenziale acquirente viene a Trento: «Una persona elegante, che parla un perfetto italiano. Mi dice che l’auto è perfetta, io gli propongo la firma di un preliminare ma lui prende tempo, dicendo che avrebbe voluto prima consultarsi con la moglie. Il giorno dopo mi chiama e si dice pronto a tornare nel pomeriggio per l’acquisto; io però lo rinvio alla mattina successiva per poter controllare l’assegno in banca e concludere la vendita. Lui accetta». Il pensionato chiama la banca e viene messo in contatto con la vicedirettrice: «Se vengo con un titolo di credito - chiedo - siete in grado di dirmi subito se è valido e coperto? Mi assicurano di sì. Lo stesso mi dice l’impiegata che riceve me e mia moglie quando ci rechiamo nella filiale, tanto che apriamo un conto corrente cointestato».

Il giorno dopo, il 5 dicembre, avviene la transazione: «L’egiziano viene con un bergamasco che presenta come cognato: chiede che la vettura sia intestata a lui. Nulla in contrario. Ci viene esibito un vaglia postale e io avviso l’impiegata di stare attenta “perché con le Poste ci sono sempre problemi”. Lei si accinge a cercare il numero dell’ufficio postale che ha emesso il vaglia. È in quel momento che l’egiziano si fa avanti: “Ho io il numero”, e glielo dà. Io vengo distratto da qualcosa che non ricordo. Sta di fatto che poco dopo la dipendente conferma che tutto è a posto». Al telefono c’era un complice. La somma di 36 mila euro viene versata sul conto corrente e a seguire in agenzia si perfeziona il passaggio di proprietà. Pochi giorni dopo arriva la doccia fredda: «Prima l’impiegata mi dice che ci sono problemi con l’assegno, poi il direttore di banca aggiunge: “Lei è nei guai, sa?” Io mi infurio: “Nei guai sarete voi, che mi avete garantito che era coperto”. E lui: “Noi non garantiamo per gli assegni: li prendiamo salvo buon fine”».

Scatta la querela: si scopre che l’egiziano è incensurato, l’italiano invece ha una ventina di precedenti fra cui un paio di truffe analoghe, con al centro vetture di lusso spedite in Romania. Mentre l’udienza penale si avvia verso un rito abbreviato (la costituzione di parte civile c’è ma la speranza di riavere i soldi è minima), l’avvocato Cristanelli prepara la causa alla banca: «La dipendente ha assunto un obbligo di verifica preventiva che non è previsto dal rapporto di conto corrente ma riconducibile ad esso. Lo attesta una sentenza del tribunale di Verona. Da qui deriva la responsabilità».













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