«Quelle faccine che spengono il dialogo»: la coppia 2.0
Le psicologhe Rinaldi e Dondè: «La tastiera cambia i rapporti, non sempre in meglio»
TRENTO. «Dal faccia a faccia alla faccine». Titolo molto stimolante quello dell’incontro di ieri sera, organizzato dal Comune a Villa de Mersi, per il ciclo “Un tempo per noi due”. Relatrici le psicologhe e pscicoterapeute Martina Rinaldi e Laura Dondè, a cui abbiamo chiesto di farci capire le implicazioni del rapporto di una coppia 2.0.
Dottoressa Dondè come cambia la comunicazione nell’era degli smartphone, della realtà virtuale?
«Gli smartphone sono parte integrante della nostra quotidianità e quindi anche delle relazioni che stringiamo. Relazioni che vengono modificate da questo strumento. In generale la tecnologia non è né buona né cattiva: dipende dall’uso che se ne fa. Occorre essere consapevoli: lo smartphone porta ricchezza di stimoli e di informazioni, di contatti. Il rischio è quello che diventi una gabbia, dove costruirsi una realtà parallela. E che si investa solo su quella: a quel punto è limitante».
E la faccine? Le tanto usate emoticons?
«Un tempo le relazioni investivano sul piano orale. Ci si incontrava, ci si conosceva, era un contatto faccia a faccia. Ora in molti frangenti è più facile comunicare attraverso sms, messenger, Whatsapp, eccetera: ovvero messaggi scritti e la tonalità emotiva viene affidata alle emoticons. Ma il problema è che la faccine vengono interpretate. E la faccina può essere anche travisata».
Tante cose, vuoi per comodità, vuoi per tenerti su un piano più neutro, si preferisce non dirle parlando al telefono ma con un messaggino più faccina...
«Un messaggio può andare bene per una comunicazione veloce. Ma non deve diventare uno schermo per dire delle cose che, viceversa, non direi mai in un rapporto faccia a faccia. La tastiera e gli schermi possono rendere più disinibiti ma allo stesso tempo non farti prendere la completa responsabilità di quello che dici».
Un capitolo a parte meritano i messaggi che indicano se il messaggio è stato letto. Soprattutto in caso di mancata risposta.
«Infatti. Whatsapp ti dice se il messaggio è stato consegnato e poi, con le spunte azzurre, se è stato letto: la comunicazione ora ha nuove regole, se all’avviso della lettura del mio messaggio non corrisponde un’immediata risposta, scattano i pensieri del tipo “non mi considera”, “non reputa importante quello che dico”, ecc. Non c’è il tempo dell’attesa ed il rimando che scatta è sul proprio valore personale».
Un vero e proprio calo di autostima. Questo non va bene, o no?
«E’ una conseguenza, ma il rischio è quello di confondere il “quello che faccio” con “quello che sono”, andando ad intaccare il proprio valore personale. Mentre magari uno è impegnato nel fare altro e non ha tempo per rispondere. Si debbono distinguere i piani diversi, capire quello che si vuole comunicare di noi».
Qui si apre lo sterminato mondo dei social e della ricerca dei “mi piace”...
«Assistiamo spesso ad una ricerca di consenso. Si vuole essere rassicurati sul fatto che si è visti, apprezzati e cercati. Siamo nell’epoca - definita dai sociologi - del narcisismo. Un’epoca in cui si è centrati sul bisogno di avere un pubblico. Questo porta però ad idealizzare tutte le parti di sè, a voler presentare le parti migliori, nascondendo quelle più buie. Ad esibire quello che si ritiene più valido con foto, faccine e via dicendo. Si va in cerca di approvazione e di visibilità».
Il rischio qual è dottoressa?
«Quello appunto di promuovere una parte che si ritiene valida e di farlo in un mondo virtuale. Distogliendo però, nel contempo, lo sguardo da chi ci è a fianco».
Un classico di molte cene dei tempi nostri: con quattro persone che guardano altrettanti schermi di smartphone. E nessuno negli occhi di un altro. E qui ci verrebbe da mettere una faccina triste...