L’ultimo volo del «Flaviòn» maestro dell’aria

Oggi l’addio a Fracalossi, per trent’anni istruttore al Caproni La figlia Paola: seguiva i suoi allievi dalla radio sul comodino


di Luca Marognoli


TRENTO. Quello di Flavio Fracalossi con il volo era stato un imprinting indimenticabile: «Aveva 9 anni, c’era la guerra e lui era seduto sulla canna della bicicletta dello zio prete, a Serso di Pergine, quando furono mitragliati da un aereo sceso talmente vicino che si ricordava il viso del pilota. Si salvarono gettandosi in un fosso e lui rimase così impressionato che disse: la prossima volta ci sarò io sull'aereo, altro che farmi mitragliare...». Sono pieni di aneddoti mirabolanti, degni del personaggio, i ricordi che popolano la memoria di Paola Fracalossi. Proprio oggi alle 11, al cimitero, si terrà il funerale del padre, pioniere dell’aeronautica trentina, scomparso all’età di 80 anni. «Ne aveva 8 o 9 quando entrò nel Gruppo aeromodellistico trentino», continua il racconto di Paola. «Costruiva da sé dei modelli di libratori, prototipi di alianti, usando balsa e tela, e a 16 anni tra mille peripezie ottenne il brevetto di volo a vela. All’epoca era una cosa da pionieri e da persone abbienti, mentre lui, figlio di una maestra e un decoratore, veniva da una famiglia normalissima: il suo fu il brevetto numero 330, quando il 331, per capirci, fu conseguito da un nobile. Erano i primi anni 50, in seguito arrivò l’altro brevetto, quello di volo a motore. Fu anche tra i fondatori della “Scuola di aviosuperfici in pendenza”, cioè di volo in montagna, la prima in Italia assieme a quella di Aosta».

Paola ha seguito le orme paterne: «Sono anch'io pilota ma mi sono dedicata di più alla vela diventando istruttore: a lui piaceva tantissimo qualunque cosa avesse a che fare con l'aria. A 18 anni si era comprato un rottame di Dinghi, una barca a legno con monovela e, da abile artigiano, l'aveva restaurata e la teneva alla Velica. La nonna gli aveva cucito le vele e veleggiava sul lago di Caldonazzo».

Una vita piena di interessi, quella di Fracalossi: «Aveva un laboratorio di cartellonistica e faceva pubblicità aerea con gli striscioni. Poi con la mamma aprirono una galleria d'arte con laboratorio orafo, la “2F”, in via Manci. Negli anni 70 prese il diploma di istruttore di volo a vela a Roma e diventò il direttore della scuola al Caproni. Ottenne alcuni record italiani, ma quello che gli piaceva fare non erano tanto le prestazioni sportive, quanto formare gli allievi, far diventare un “terricolo” un pilota. Non lo chiamo papà, ma Flavio: ha sempre preferito essere amico che padre. Anche per gli allievi lui era il “Flaviòn”. Dava del tu a tutti: il rispetto per lui non era nel formalismo ma nel modo di trattare le persone».

Un uomo dal carattere forte: «Era impossibile averne un'opinione neutra», continua Paola. «O lo si amava o lo si odiava: quello che aveva da dire lo diceva in faccia a tutti. La sua frase tipica era “ma va in mona”, da bòn trentin. Ci ha rimesso del suo pur di essere un uomo retto e senza cedere ad alcun compromesso. Litigava per questioni di principio: era un despota e aveva le sue idee. Ha governato la scuola di vela con un pugno di ferro che in trent'anni ha impedito il verificarsi di qualunque genere di incidente, anche piccolo. Per gli allievi era come una chioccia con i suoi pulcini: bastava dirgli: “Flavio, vado in volo” e ti seguiva. Aveva sul comodino la radio aeronautica e sapeva dov'era ognuno di loro. Li chiamava: “Posizione e quota!”. Guardava il meteo e se era brutto decideva: “A terra tutti!” Loro protestavano, ma poi arrivava il burianone e lui ti diceva: “Ha vist?” ».

A 65 anni andò in pensione e cambiò passione: «La moto, un Bmw 850 con il quale girava assieme alla mamma su e giù per i passi alpini. Ma gli piaceva anche la bicicletta». Paola sorride sfoderando altri episodi diventati quasi leggendari tra amici e familiari: «A 20 anni, la sera dopo il lavoro, assieme ad altri tre, si erano costruiti un aliante in un capannone vicino a casa. Solo dopo averlo finito si erano accorti che dalla porta non ci passava: “E ades?”, aveva detto. Furono costretti a smontarlo».

Due anni e mezzo fa Fracalossi è stato investito sulle strisce sotto casa. «Da lì è iniziato un lento declino», dice la figlia. Ma il colonnello Francesco Volpi, decano dei piloti trentini, lo immagina ancora alla cloche: «Sotto la sua guida il volo a vela ha raggiunto le punte massime. Abbiamo volato tanto insieme: giretti sulle montagne, che piacevano a tutti e due, o fino all'isola d'Elba, Venezia, la Francia. Sono bellissime le giornate di gennaio, con il cielo così terso».













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