Il capo del soccorso alpino"Valanghe, cambiamo le regole"
Le proposte di Dellantonio: "Avvisi ai turisti ed esplosioni in quota"
TRENTO. Delle tensioni Dellai-Bertolaso dice di non sapere nulla: «Come soccorso alpino non ci siamo sentiti tirati per la giacchetta. Con il capo della protezione civile ho parlato prima del funerale: tutto chiarito». Sui dubbi che circolano in valle circa alcuni (presunti) errori di valutazione commessi dal gruppo dei soccorritori in val Lasties è categorico: «Quei ragazzi erano dei fuoriclasse della montagna. Hanno messo in atto alla perfezione il protocollo. Io stesso sarei sceso per quel versante». A sette giorni dall’immane tragedia del Pordoi, il capo del soccorso alpino Maurizio Dellantonio tira le somme di una settimana tragica e indimenticabile: «Il sistema dei soccorsi in montagna va bene com’è, ma forse qualcosa in più per la sicurezza si può fare».
Dellantonio, partiamo dalle tensioni provocate dalle parole di Bertolaso: prima i dubbi sulla necessità di intervenire in situazioni di alto rischio, poi quel riferimento “ai miei ragazzi” che non è piaciuto al presidente Dellai che ha ricordato l’indipendenza e lo spirito volontaristico di voi soccorritori. Qual è la sua posizione?
«Con Bertolaso ci siamo chiariti prima del funerale. Io rispetto il suo ruolo. Penso che le sue parole siano state frutto dell’angoscia del momento e della tensione di chi riveste ruoli di comando».
Vi siete sentiti tirati per la giacca?
«Non ho avuto questa sensazione. Posso dire che la presenza di Bertolaso è stata un segnale importante di vicinanza delle istituzioni, così come quella di Dellai e degli altri politici con i quali ho intrattenuto contatti frequentissimi in questi giorni».
Passato il momento del dolore, si apre quello della discussione. Qualcuno pone il dubbio che i soccorritori possano forse aver commesso qualche errore, soprattutto nel mancato rispetto delle distanze di sicurezza. Avete analizzato questi aspetti?
«I dubbi su errori sono insensati. Quei ragazzi erano il meglio del Soccorso. Non solo hanno rispettato le distanze, ma erano imbragati. Scendere da quel versante era l’unica soluzione possibile, l’avrei fatto anch’io. Purtroppo si è verificata una situazione imprevedibile, come ogni tanto accade in montagna. In quella zona non ho mai visto un distacco così».
Questa tragedia può essere l’occasione per rivedere qualche procedura di intervento?
«Direi di no, quelle che già attuiamo sono le migliori. In Trentino non siamo secondi a nessuno quanto a preparazione tecnica, addestramento e professionalità».
Alcuni sostengono che l’attuale struttura del Soccorso non sia adeguata all’aumentato grado di professionalità di molti suoi componenti. Lei ha provato ad immaginarsi una diversa organizzazione?
«Sì, ma non ci sono riuscito. Certo, questo è un volontariato “tirato”. Nessuno prende soldi, ma da gestire ci sono bilanci, strutture, commercialisti, avvocati. Da mesi, ormai, io lavoro solo per il soccorso. Ma va bene così, perché alla fine - quando qualcuno chiede aiuto - i ragazzi partono perché se lo sentono dentro. Punto».
Buon senso a parte, esiste un modo per limitare oggettivamente i rischi della montagna?
«Possiamo intervenire in due modi: sul fronte normativo e su quello delle tecnologie».
Partiamo da quest’ultimo: mi faccia qualche esempio...
«Si potrebbe stabilire di usare con maggiore frequenza l’elicottero per bonificare certe zone, rendendo innocui certi pendii con delle esplosioni che provocano distacchi. Ma non ovunque è possibile, visto che ci sono zone con presenza di baite o strutture private che potrebbero essere danneggiate».
Veniamo al fronte normativo: che soluzioni vede in prospettiva?
«Nei prossimi giorni ci troveremo in Provincia per parlarne. Credo che una soluzione possano essere degli avvisi locali emessi dal sindaco dopo una consultazione con la commissione valanghe. Si tratterebbe di bollettini mirati, con indicazioni precise di zone e persino di pendii a rischio. L’avviso andrebbe poi diffuso nelle strutture turistiche, nei bar, nei ristoranti, negli alberghi».
E le ordinanze dei sindaci?
«Rimarrebbero per le situazioni limite, ma con l’impegno di rivederle o revocarle ogni volta che cambiano le condizioni, anche a distanza di pochi giorni. Ci sono zone dove viene proibito lo sci fuori pista da novembre ad aprile: è assurdo».