Donne e lavoro, è ancora tutto in salita

Occupazione ferma, 300 all’anno abbandonano perché hanno un figlio. E resta forte il gap su reddito e carriera


di Chiara Bert


TRENTO. C’è l’insegnante che dopo anni di precariato ha finalmente vinto l’agognato posto fisso, ma è a 80 chilometri da casa, e con due figli piccoli non vede altra soluzione che chiedere il congedo parentale. E c’è la mamma single che deve rientrare al lavoro nell’ente pubblico dopo la maternità e non sa come tenere insieme 8 ore di lavoro (con turni che iniziano anche di prima mattina) con le esigenze di due bambini. Due esempi di quanto conciliare lavoro e famiglia per una donna rappresenti ancora un duro scoglio, anche nel Trentino che pure spinge da anni sugli incentivi alle aziende che favoriscono il lavoro femminile e le pari opportunità (Family Audit), con part-time, telelavoro, orari flessibili, congedi parentali dei padri.

Il divario con gli uomini. I dati sul lavoro del secondo trimestre 2016 in Trentino un segnale incoraggiante lo offrono: la disoccupazione femminile cala in modo più consistente di quella maschile (-18% contro un -11,6%). Le donne occupate a giugno erano 104 mila con un tasso di occupazione del 60%, sostanzialmente stabile rispetto all'anno precedente ma ancora molto (troppo) distante dal tasso di occupazione maschile che è al 73%. «Il gap esiste. Cresce l’occupazione maschile, mentre quella femminile è sostanzialmente ferma», rileva la direttrice dell’Agenzia del lavoro Antonella Chiusole. Che nota: «Se in Trentino le donne lavorassero col tasso di occupazione maschile, avremmo 25 mila donne in più che lavorano, e questo avrebbe un impatto positivo sul Pil e sul tasso di occupazione in generale, con una maggiore domanda di beni e servizi. Pensiamo solo a un dato: se si stima che almeno il 10% dei lavoratori mangia fuori caso, significherebbe avere circa 2500 pasti in più serviti ogni giorno».

Maternità e abbandoni. Un altro dato che dice molto sulle difficoltà del lavoro femminile sono le circa 300 donne che ogni anno abbandonano il loro posto di lavoro dopo la nascita di un figlio. «La maggior parte lo fa per l’impossibilità di conciliare il lavoro con l’impegno familiare», spiega Barbara Poggio, docente di Sociologia del lavoro all’Università di Trento che da anni si occupa anche degli squilibri di genere. «Il fenomeno dell’abbandono si collega spesso anche a valutazioni di razionalità economica: se il reddito è basso, le opportunità di crescita professionale limitate o nulle, i servizi all’infanzia troppo costosi e la presenza di un secondo reddito rischia anche di far perdere delle sovvenzioni pubbliche, a questo punto la scelta della donna appare scontata».

Reddito e carriera. Non è infatti solo una questione di quante donne lavorano, ma anche della qualità del lavoro femminile. «Le donne lavorano meno e male, significa redditi e qualifiche più basse dei colleghi uomini. Il tetto di cristallo resta pesantissimo», sintetizza Chiusole. Che cita un altro dato: nelle aziende trentine con più di 100 dipendenti, sono solo l’8,2% le donne dirigenti. «Alla base di questo gap - osserva Poggio - ci sono da un lato le scelte scolastiche, che portano ancora le giovani donne ad investire in percorsi di studio che offrono più limitate opportunità occupazionali e godono di minor riconoscimento, dall’altra gli squilibri legati ai carichi domestici ancora presenti nelle famiglie». Anche su questo fronte la Provincia, con l’Agenzia del lavoro, ha messo in campo diversi progetti: contributi per premiare le aziende che si riorganizzano per conciliare famiglia e lavoro e per valorizzare il capitale femminile; per ridurre il divario di conoscenze delle laureate in discipline non scientifiche; per supportare la presenza delle donne nei ruoli di vertice.

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