Sinner e il caso doping: «Ho capito chi è mio amico e chi no»
Dopo la telenovela che lo ha visto centrale, tra accuse di aver fatto uso di sostanze dopanti e gli errori dello staff, Jannik si è raccontato ai microfoni di Sky. L’altoatesino ha parlato dell’annata che lo ha visto definitivamente consacrarsi come il numero uno nel ranking: «Giocherei per i prossimi 15 anni»
MILANO. L'ansia di non essere padrone del proprio destino sul caso della contaminazione involontaria di clostebol, la ferma consapevolezza di non avere colpe, l'imbarazzo per gli sguardi e i bisbigli di avversari e amici, o presunti tali. Jannik Sinner racconta a Sky l'anno della sua entusiasmante consacrazione - due Slam vinti, Australia e Stati Uniti, e numero uno del ranking Atp - e della beffarda turbolenza sul caso doping, dal quale è stato scagionato dopo l'inchiesta ma sul quale la Wada ha fatto ricorso.
"Era un periodo molto complicato, delicato, perché non sapevo come dovevo comportarmi io, non sapevo cosa sarebbe uscito, non sapevo cosa sarebbe successo con il team. Non mi potevo aprire con tante persone. Era facile perdere il controllo. Non dormivo, come la sera prima del match contro Medvedev a Wimbledon. Una mattina invece mi sono svegliato e ho realizzato che anche la decisione del giudice non dipendeva da me ma che io non avevo fatto nulla di sbagliato". Ma, qualità solo dei grandi, trovare spunti per crescere ancora, diventare sempre più forte.
"Allo US Open, dopo che il caso era diventato di dominio pubblico, ho dovuto cambiare il mio programma di allenamento: mi sono allenato di sera, così ci sarebbe stata meno gente. Mi guardavo intorno per osservare gli sguardi degli altri per capire cosa pensassero veramente. Mi sono fatto tante domande. In fondo sono convinto che niente succede per caso, e forse questo è successo proprio per capire chi è tuo amico e chi non lo è. Ho capito che ci sono tanti giocatori che non pensavo fossero miei amici e c'è una quantità abbastanza grande che pensavo fossero amici e invece non lo sono. E a me questo alla fine non dico che mi ha fatto bene, però mi ha fatto capire tante cose. Sono contento di come l'ho gestita perché́ era molto difficile. Però nel momento in cui vado in campo e mi metto il cappellino, per me esiste solo la palla da tennis. In campo mi sento al sicuro".
La classifica non mente e il bis alla Davis con la sua Italia e il primo sigillo alle Atp Finals renderebbero la stagione unica. "Quando sei il numero uno del mondo sei sempre il ricercato dagli avversari, come avere un bersaglio addosso, questo rende il gioco più bello. Ma perdere le partite da numero uno del mondo è diverso, più pesante. Come persona non sono cambiato - aggiunge Sinner, vincitore nel 2024 di due slam -, il successo non mi ha cambiato. Ora ho meno tempo libero ma dedico tutto il tempo possibile al lavoro, continuandomi a divertire". E una speranza, che suona come una promessa: "Vorrei giocare a tennis per i prossimi 15 anni".