L’impresa di Elia Origoni: oltre 7.200 chilometri a piedi lungo tutta l’Italia (Trentino compreso)
Ha percorso tutto il Sentiero Italia Cai, per un dislivello complessivo di 350.000 metri. Il racconto dei posti trentini e il dolore per Vaja: «Una situazione raccapricciante. E anche se gli alberi abbattuti sono stati portati via, lo scenario è comunque molto triste»
TRENTO. Un’impresa eccezionale, percorrendo oltre 7.200 chilometri tutti a piedi e affrontando un dislivello di 350.000 metri, lungo il sentiero più lungo del mondo, il Sentiero Italia Cai. E transitando anche per il Trentino e l’Alto Adige, in un’avventura sicuramente affascinante ma ai limiti dell’umano.
Il protagonista di questa impresa è Elia Origoni, camminatore di Besozzo, in provincia di Varese, che ha così concluso il suo progetto chiamato “In Solitaria 2021”.
«Con oltre 7000 chilometri il Sentiero Italia è uno dei percorsi escursionistici più lunghi del mondo. Una sfida che ho affrontato in solitaria», dice Origoni che sul suo sito web ha raccontato in un emozionante diario tutto il percorso compiuto.
«Senza correre, senza fretta. Mosso solo dalla forza delle gambe e delle braccia ho percorso tutto il Sentiero Italia sfruttando il tempo per scoprirne ogni angolo. Nei tratti dove è stato necessario (attraversata Sardegna-Sicilia, Stretto di Messina e Lago Maggiore) ho utilizzato delle imbarcazioni. Remando, annullando così totalmente l'utilizzo di carburanti ed utilizzando al 100% le mie energie».
La partenza, otto mesi fa, da Santa Teresa di Gallura.
Poi, a settembre, quasi alla fine del suo lunghissimo viaggio, l’arrivo in Trentino Alto Adige. Ecco il suo diario di quelle giornate così intense e spettacolari.
Lunedì 13 settembre
Dopo l’abbondante colazione con la torta che Stefano mi ha lasciato mi incammino per il rifugio Forni per risalire la valle del Gavia. La giornata bella e si godono bellissimi paesaggi sul confinale e sulle 13 cime che aggirerò interamente. Risalgo la valle del Gavia sul bel sentiero a mezza costa che si snoda tra le forre dell’omonimo torrente molto spettacolari. Raggiungo il Rifugio Berni e in tarda mattinata arrivo al passo. Mentre mi incammino verso la bocchetta del corno dei 3 signori le nuvole mi avvolgono e la cosa mi fa un po' preoccupare perché preferirei evitare di effettuare il passaggio delicato verso la bocchetta completamente immerso nella nebbia. Fortunatamente una volta arrivato a pochi metri dalla bocchetta noto con piacere che la nebbia mi ha graziato quindi risalgo le catene che mi permettono di raggiungere la bocchetta dove mi accoglie con un panorama stratosferico. Da qui incomincio a scendere verso il rifugio Bozzi dove mi sono dato appuntamento per una birretta con dei bikers con cui ho fatto amicizia pochi istanti prima. Una volta arrivato al Bozzi scopro che il rifugio è chiuso, ma attendo ugualmente i miei nuovi amici come promesso con i quali scambio quattro chiacchiere prima di salutarli e proseguire verso al forcellino di Montozzo, punto che separa la Lombardia al Trentino, entro così in val di Pejo. Inizia la discesa per il lago Palù che inizialmente è abbastanza monotona ma successivamente facendosi molto ripida mi porta più velocemente di quanto pensassi al lago. Cerco una sistemazione per la notte e il malgaro mi consiglia di proseguire ancora un po' verso pian Vegaia così la raggiungo e mi sistemo per passare la notte con un bel panorama sulla val di Pejo sotto di me.
Martedì 14 settembre
Di buon ora parto e scendo a Pejo per recuperare il pranzo. Mi incammino nella valle della Mare percorrendo un sentiero tutto sotto gli alberi che mi porta a località ponte vecchio dove diventando sempre più mi conduce al passo di Cedec. Qui dopo un riposo scendo verso la val Cedec dove faccio la spesa per proseguire e raggiungere verso sera la malga Caldesalta dove trovo un bivacchino abbastanza comodo e protetto. Con una strategica operazione “svuota-zaino” mi preparo la cena con tutti rimasugli di cibo avanzati, mi delizio così con dei pizzoccheri liofilizzati acquistati in Valtellina.
Mercoledì 15 settembre
Mi sveglio e noto che fuori dalla tenda il tempo è un po' “strano”, le nuvole basse animano il cielo e mi fanno sentire in un limbo ovattato. Inizio a risalire verso il passo Palù, e le nuvole continuano a creare scenografie molto suggestive. Entro in val di Bresimo avvolto completamente nella nebbia e percorro il sentiero fin al passo Fresina attraverso il quale entro in Sud Tirol. La giornata tutto sommato scorre veloce e raggiungo il bellissimo bivacco di recente ristrutturazione alla malga di Brez. Qui mi preparo una sostanziosa cena prima di crollare in un sonno profondo.
Giovedì 16 settembre
Anche oggi mi sveglio nelle nuvole, so già che questa settimana la meteo tendente al brutto tempo, ma la cosa non mi turba perché sapevo che prima o poi dive arrivare, gli ultimi due mesi del resto ho avuto la fortuna di godere di tempo sempre stabile, quindi accetto, come si dice, con sportività, la pioggia in arrivo. A Castelfondo faccio una merenda veloce e mi dirigo in direzione del passo della Mendola che raggiungo ben oltre l’ora di pranzo, vista la giornata un po' fresca qui decido di concedermi un pasto caldo evitando il solito panino triste e freddo ma concedendomi un gustoso primo piatto. Attendo il cessare della pioggiae riparto. Concludo la giornata raggiungendo il rifugio Oltradige al Roen un vero balcone sopra la valle dell’Adige, anche qui vengo calorosamente accolto dalla bellissima ciurma che lavora nella struttura e con un gustoso piatto di canederli.
Venerdì 17 settembre
Mi sveglio con calma insieme allo staff del rifugio Oltradige e facciamo colazione insieme, dopo una foto ricordo mi incammino sulla dorsale del Roen. La prima parte del sentiero (il sentiero dei Camosci) è molto tecnico e panoramico, e dopo alcuni passaggi attrezzati raggiungo il monte Testa Nera per proseguire poi sulla dorsale tra la Val di Non e la Val d’Adige, proseguo verso il colle di Tres per scendere poi fino in bassa valle dove in questo periodo si sta svolgendo la vendemmia. I 200 metri di quota sul livello del mare si sentono tutti, questa volta non è l’aria rarefatta ma il caldo e l’umidità soffocante, forse alimentato dalle altissime pareti talmente ripide che sembrano quasi schiacciarmi. Raggiungo Salorno dove riorganizzo il set di cartine nuove che mi aiuteranno a orientarmi da qui in avanti e arrivo a Pochi dove concludo la tappa e per incontrarmi con Cecilia di Outdoor Test alla quale rilascio alcune interviste per permetterle di scrivere degli articoli sulla rivista per cui lavora, anche stasera è piacevole scambiare quattro chiacchiere in compagnia.
Sabato 18 settembre
A parte il bel lago Santo di Cembra la mattinata vola via veloce senza particolari note. Ho camminato all’interno di boschi con un ritmo rapido e spedito e dopo pranzo arrivo alla malga monte corno, finalmente qui ho un bel panorama verso le bellissime Dolomiti che raggiungerò superando il passo di Oclini. Inizialmente pensavo di fermarmi alla malga di monte corno ma decido di portarmi avanti e scendere a Trodena approfittando anche per fare una piccola spesa. Qui cerco un posto per la notte e mi posiziono sotto il portico del parco giochi del paese, faccio tutto con calma e appena i ragazzi, che stavano giocando, vanno via mi preparo la cena e mi posiziono per dormire e cadere nel solito profondo sonno fino a quando una torcia fastidiosissima puntata in faccia mi fa svegliare improvvisamente: un carabiniere avvisato da uno dei ragazzi è venuto a fare un controllo documenti. Ritorno a dormire.
Domenica 19 settembre
Lascio Trodena avvolto ancora dal buio della mattinata e sono quasi stupito che la pioggia prevista fortunatamente ancora non si vede. La meteo “tiene” ma il mio guscio (la giacca impermeabile) è sempre pronto ad essere indossato. Al passo di Lavazè trovo la situazione raccapricciante lasciata dalla tempesta Vaja, e anche se gli alberi abbattuti sono stati portati via, lo scenario è comunque molto triste. Tra uno scroscio e l’altro ho la fortuna di “assaggiare” giusto per qualche minuto il paesaggio dolomitico che mi circonda grazie a brevissimi schiarite. La pioggia inizia a farsi sempre più consistente e solo quando arrivo al Lago di Carezza il cessare della pioggia mi permette di scattare delle bellissime fotografie. Alle ore 17 decido di fermarmi nella piccola struttura del parcheggio che mi ospiterà fornendomi un ottimo riparo sopra la testa per passare un’altra notte.
Lunedì 20 settembre
Mi sono svegliato dopo aver dormito particolarmente bene, forse anche perchè non è stato troppo freddo grazie alle nuvole che hanno mantenuto un po’ di tepore. Per fortuna oggi il cielo è splendido e, dopo colazione, mi concedo un secondo giro del lago di Carezza reso magnifico dalla luce del sole: ieri le nuvole non mi hanno permesso di godere del panorama che invece oggi si presenta unico, con vista sul Latemar e sul Catinaccio. Mi incammino verso il piccolo paese di Carezza per fare un poco di spesa e poi mi dirigo verso le pendici del Catinaccio, costeggiandolo interamente sulla parte meridionale. Abbandono la Val d’Ega e raggiungo, per l’orario di pranzo, il paesino di S. Cipriano da dove parte un suggestivo canyon che mi conduce fino all’altopiano dello Scillar. Da qui la vista può spaziare a 360 gradi sulle Alpi: in lontananza spuntano la catena delle Orobie, l’Adamello e il gruppo dell’Ortler tutti imbiancati dalla spruzzata di neve fatta dalla perturbazione di ieri. Cominciano i primi freddi in montagna. Per fortuna mi sono già lasciato alle spalle le quote più alte, dovrei dormire sonno tranquilli le prossime settimane!! Mi appare, in lontananza, l’incantevole rifugio Bolzano: si tratta di una costruzione molto particolare che ricorda un vero castello tra le nuvole, ubicato su verdi pascoli e circondato da irte pareti di roccia. Entro. Mi sento tornare indietro nel tempo, come un lord che varca le porte del suo maniero, mi trovo circondato da vecchie stue ricoperte di legno antico e adornate con classiche stufe tirolesi. Nonostante il luogo incantevole, decido di proseguire il mio cammino fino all’alpe di Tiers, dove spero di trovare un posto per ripararmi nei pressi del rifugio omonimo. La gestrice, purtroppo, non è molto comprensiva e non mi da la possibilità di rifugiarmi nel garage adiacente al rifugio. Per fortuna la mia buona stella viene in soccorso anche oggi: due ragazzi tedeschi, incuriositi dal mio rimettermi in marcia ad un’ora così tarda, decidono di pagarmi la cena e il pernotto al rifugio. Passo una piacevolissima serata in ottima compagnia.
Martedì 21 settembre
Mi sveglio insieme agli ospiti del rifugio e, anche se sono in ritardo sulla tabella di marcia, mi godo l’abbondante colazione e le ultime chiacchere con i miei nuovi amici. Parto di buon passo percorrendo un magnifico sentiero in sali-scendi con viste mozzafiato sui gruppi montuosi dolomitici, fino al rifugio Sassopiatto. Da qui proseguo in quota, a ridosso della parete del Sassolungo, fino al rifugio Comici per poi scendere velocemente, seguendo le piste da sci, fino al Plan della Garba, poco sopra Selva in Valgardena. Pranzo con alcuni parenti tedeschi, in vacanza nella valle e riparto, percorrendo la ‘lunga’ Vallunga che si infila tra le ripide pareti rocciose del gruppo delle Puez. Sulla cima si intravede l’omonimo rifugio, senza però riuscire a scorgerne la strada di salita. Questa si rivela, passo dopo passo, celata tra cenge e dirupi, fino a conquistare una valletta erbosa a quota 2500 metri dove sorge il rifugio Puez. Decido di proseguire lasciandomi alle spalle la Val Gardena per entrare, attraverso classici sentieri dolomitici, in alta Val Badia, in cima agli impianti di Colfosco. A breve raggiungo un piccolo rifugio adiacente alle piste da sci, dove dei gentilissimi ragazzi mi hanno trovato un posticino al caldo e al chiuso dove posso trascorrere la notte. Con il passare dei giorni, la temperatura notturna scende a volte sotto lo zero: ci si accorge quando la mattina, al risveglio, l’erba è ancora gelata. Dovrò rivalutare le prossime tappe in modo da non rischiare di fermarmi in quota a dormire, ma scendere a valle.
Mercoledì 22 settembre
La giornata non comincia per il verso giusto: mi sveglio durante la notte con un forte malessere che mi porta a rigettare tutta la cena della sera precedente. Probabilmente ho preso freddo. Dopo una leggera colazione, d’obbligo per recuperare un poco le energie, provo a rimettermi in moto. Nonostante sia molto caloroso, cammino tutta la mattina con il piumino, sintomo, questo, del mio persistente malessere. Con l’obiettivo di arrivare fino ad Arabba per cercare una farmacia, mi trascino fino al rifugio Kostner dove bevo un the caldo e vengo convinto a fermarmi per riposare. Mi sveglio alle 18 giusto in tempo per godermi uno spettacolare tramonto e fare conoscenza con Manuel, l’accogliente rifugista che da ormai 35 anni gestisce il rifugio. Manuel ascolta con interesse la mia avventura ed è molto felice di ospitarmi. Mi offre una gustosa zuppa di patate (complimenti alla cuoca Cristina!!) e mi manda presto a letto con l’augurio di passare una buona nottata. Spero di stare meglio domani.
Giovedì 23 settembre
Mi sveglio ricaricato. Mi godo l’alba sulle vette intorno a questo punto panoramico spettacolare, faccio colazione e saluto gli stupendi gestori, ringraziandoli per la magnifica accoglienza (sono stato loro ospite). Mi incammino verso Arabba, entrando in territorio veneto e lasciandomi alle spalle la Ladinia, territorio che comprende tre valli trentine dove parlano ancora la lingua Ladina. In paese mi fermo a fare spesa e ne approfitto per prendere qualche integratore di Sali per ripristinare i liquidi persi e dei fermenti lattici: non posso fare errori in questi ultimi giorni che mi rimangono. Risalgo verso il passo Do Campolongo e da qui a Pralongià: luogo magico, dal panorama mozzafiato sui gruppi dolomitici che mi attendono. Con un ultimo sforzo, riesco a raggiungere per pranzo il passo Siez, dove avevo preventivato di passare la notte, senza prevedere che un inconveniente avrebbe accorciato considerevolmente la tappa di eri.Al passo si intravedono i primi segni della guerra. Pranzo e mi rimetto in cammino verso il Falzarego passando dalla forcella di Travenanzes. Qui si si apre una valle dall’aspetto lunare, incastonata tra pareti verticali e quasi priva di vegetazione. Dalla cartina ho individuato una capanna che si rivela una vero e proprio bivacco ottimo per passarci la notte.
Venerdì 24 settembre
Mi sveglio all’alba in modo da cominciare la giornata con le prime luci e recuperare, per quanto possibile, il tempo perduto mercoledì con la mia sosta forzata. Dopo colazione dico addio al mio bivacco e mi incammino verso valle attraverso un lungo e gelido canyon circondato da alte pareti rocciose da dove, a volte, precipitano alte e spettacolari cascate. Con due ponti, posti su due altissime forre in un luogo ricco di storia, giungo in val di Fanes e, finalmente, ai primi raggi di sole. Ricomincio a salire la val Padeon e, nonostante da due giorni stia percorrendo vallate molto turistiche, mi rendo conto di non aver incrociato impianti di risalita. Questo significa che il tracciato del Sentiero Italia in questa zona è riuscito a divincolarsi da tutte le strutture sciistiche che deturpano il paesaggio e i panorami. Giungo al passo di Padeon e mi accorgo che ho parlato troppo presto: passo attraverso gli impianti di sci e, per ripide piste discendo velocemente fino al passo Tre Croci dove pranzo e mi godo il tepore del sole. Oggi la giornata limpidissima mi regala una vista mozzafiato sul massiccio del Cristallo. Risalgo la forcella di Popera dirigendomi verso il lago di Misurina. Un bel sentiero panoramico a mezzacosta sopra la vegetazione, mi porta a varcare la forcella e, mentre mi accingo a scendere, improvvisamente, dietro un curva, mi compaiono, magnifiche e illuminate dal sole, le tre cime di Lavaredo: uno spettacolo che mi lascia per un momento senza fiato. Al lago di Misurina faccio rifornimento per i prossimi giorni (da domani comincerò la traversata carsica e sul mio cammino troverò pochi punti di rifornimento) e fuggo dalla ressa che assale questo luogo bellissimo ma troppo famoso. Di nuovo in salita verso il Monte Piana attraverso un ripido sentiero che mi conduce fino alla vetta dove trovo una vecchia casa degli alpini ristrutturata circondata un dedalo di trincee e un labirinto di baracche: un museo a cielo aperto conservato benissimo. Nonostante la giornata stia per finire, con l’obiettivo di recuperare i chilometri persi, decido di proseguire fino al fondovalle. Sulla cartina ho individuato la presenza di una malga-ristorante e spero di trovare un riparo per la notte. L’accoglienza purtroppo a volte è un’opzional: un gestore molto scontroso, forse perchè abituato ai turisti ben pettinati che frequentano questi luoghi, mi caccia in malo modo. Non mi resta che riempire la borraccia e trovarmi un riparo. Il sentiero mi conduce all’interno di un bellissimo bosco di larici. Mi scelgo un vecchio albero frondoso con sotto un bel letto di aghi morbidi e asciutti. Mi preparo un bel piatto di canederli freschi e, circondato dai bramiti dei cervi, mi infilo nel sacco e mi addormento.
Sabato 25 settembre
Dopo un sonno cullato dai bramiti dei cervi, mi sveglio asciutto e riposato. Parto molto presto dirigendomi verso il rifugio Locatelli.Seguendo vecchi sentieri degli alpini risalgo una piccola vallata e, con il sole che comincia a tingere di rosso il Monte Cristallo e il Pelmo, proseguo costeggiando la nord delle Tre Cime senza, per fortuna, incontrare anima. Solo al rifugio Locatelli trovo un pò di turisti. Mi concedo una piccola merenda con strudel e caffelatte, qualche foto di rito e riparto facendo una riflessione: in un posto ormai icona delle dolomiti il silenzio è disturbato dal rumore fastidioso di un generatore. Mi chiedo come mai, con la tecnologia che c’è nel 2021, il CAI non si decida a portare avanti una linea di eliminazione dei generatori dai rifugi. Affronto il fiume di persone che risale la val Fiscalina e, una volta in fondo, risalgo verso i prati di Crodarossa con vista sul crinale delle Alpi Carniche che separano l’Alto Adige dall’Austria. Tra poco avrà inizio la traversata Carnica. Tramite stradina in discesa giungo al Passo di Monte Croce: sono di nuovo in Veneto dopo una breve carrellata in Alto Adige. Al Passo c’è un magnifico albergo dove, da qualche anno durante inverno, trascorro tre settimane lavorando. Ricevo un’accoglienza di festa da parte di Dario e Salvatore che mi fanno sentire come a casa. Nonostante volessi rimettermi in marcia, mi hanno convinto a restare per la notte dandomi l’opportunità di fare una doccia calda e di fare una lavatrice. Dopo una bella cena in compagnia e una lunga chiacchierata, vado a dormire. Domani cercherò di recuperare i chilometri persi… ormai si comincia a vedere la fine di questo viaggio….
Domenica 26 settembre
Come un uomo primitivo che vede per la prima volta una colazione a buffet, mi rimpinzo come se fosse il mio ultimo pasto. Saluto lo staff che mi ha accolto e mi ha voluto bene e, zaino in spalla, parto di buon passo, visto che continuo ad avere chilometri che si accumulano da recuperare. Comincio la risalita verso il passo Silvella, a confine tra Alto Adige e Veneto. Giunto fuori dal bosco guardo un’ultima volta verso le dolomiti di Sesto e scorgo in lontananza le dolomiti di Cadore in territorio friulano. Comincio a sognare poichè il Friuli è terra a me sconosciuta ed è l’ultima regione di questo mio lungo viaggio. Scendo in Val Digon lungo una strada sterrata e poi attraverso un sentiero a tratti sommerso dagli alberi sradicati dalla tempesta Vaia. Il bosco, che si presenta a chiazze, va davvero uno strano affetto. Risalgo al passo del Palombino che mi apre le porte della Val Visdende. Sono questi gli ultimi tratti che percorrerò in Veneto. Nonostante i luoghi non abbiano nulla da invidiare al Trentino, qui i sentieri sono a volte più trascurati e l’affluenza è davvero limitata: oggi, domenica, ho incontrato solo tre persone. Si entra in luoghi più selvaggi e la cosa mi emoziona. Imbocco la strada delle malghe: una sterrata che percorre la valle a mezza costa tra i 1800 e i 2000 metri e unisce tutte le casere. Il mio obiettivo è percorrerne metà e fermarmi nel primo luogo accogliente che incontrerò. Non ho fatto i conti con il periodo: passo la casera di Campobon, quella di Cecido e Manzon ma sono tutte chiuse. La stessa casera di Chiastelin, mia tappa prevista, non presenta la possibilità di fermarmi. Proseguo, anche se sono ormai le 18. Ho un’ultima possibilità: la casera Chivion, chiusa anch’essa ma con un piccolo bivacco aperto dotato di letto e tavolo. Un colpo di fortuna, visto che oltre ad essere ormai buio, comincia anche a gocciolare!! Cucino immediatamente visto che sono molto affamato e mi addormento presto dopo i numerosi chilometri percorsi.
Poi avanti, fino alla conclusione in Friuli, a Muggia. «Il mio programma, era raggiungere il bivacco Zanuso, posto sulla cresta del Colovrat, zona di confine e teatro di terribili scontri durante i conflitti mondiali. Sarebbe stata la mia ultima notte sopra i 1000 metri e, quando la montagna chiama, io proprio non riesco a resisterle. Rinuncio all’ospitalità, alla doccia calda, al sonno ristoratore in un letto, prendo il mio zaino, appesantito da un ottimo stufato di patate, e riparto. Mi aspetta una ripidissima salita fino alla vetta del monte Nagnoj, dove inizia la traversata del Colovrat, dorsale tragicamente interessata dalla battaglia di Caporetto, che portò alla ritirata delle truppe italiane fino alla linea del Piave. A metà della cresta, trovo ad accogliermi il bivacco, illuminato da un magnifico tramonto che fa capolino tra le nubi basse che non promettono nulla di buono. Entro nel piccolo ricovero in legno, molto confortevole e, mentre cucino, cominciano a cadere le prime gocce di pioggia. Spero che si sfoghi questa notte e, domani mi lasci camminare all’asciutto», conclude Dorigoni. Il diario è finalmente finito, la traversata da record anche. Complimenti Elia!