Quarant'anni dopo la frontiera nascosta è diventata flessibile
C'è un solo tipo di uomo, o ce ne sono molti? C'è un solo mondo, o ce ne sono molti? Sono domande di grande pertinenza in Trentino-Alto Adige, dove la questione identitaria è sempre viva. Se le erano poste anche due etnografi statunitensi, Eric Wolf e John Cole, autori del celebre "The Hidden Frontier: Ecology and Ethnicity in an Alpine Valley" sulla "frontiera nascosta" che separa in val di Non le comunità di Tret, in Trentino, e St. Felix, in Alto Adige. Pubblicato nel 1974, fu tradotto in italiano solo vent'anni dopo, grazie all'impegno del Museo degli usi e costumi della gente trentina di San Michele all'Adige. Ancora oggi "La frontiera nascosta. Ecologia e etnicità fra Trentino e Sudtirolo" rimane un testo molto attuale, conosciuto e dibattuto. Prova ne sia il fatto che la casa editrice Raetia di Bolzano ha recentemente pubblicato un volume collettaneo, curato da due storiche dell'università di Vienna, Margareth Lanzinger ed Edith Saurer, e intitolato "Ungleichheit an der Grenze. Historisch-anthropologische Spurensuche im alpinen Raum: Tret und St. Felix" (Diversità al confine. La ricerca di tracce storico-antropologiche nello spazio alpino: Tret e St. Felix). Il volume sarà presentato sabato prossimo 13 novembre, alle 18, nell'Aula Magna della Fondazione Edmund Mach - Istituto Agrario di San Michele all'Adige, con la partecipazione dello stesso professor John W. Cole (University of Massachusetts), che interverrà con una prolusione sul tema "The Frontier Concept" (il concetto di frontiera) e un intervento di Margareth Lanzinger, nell'ambito della tre giorni del Seminario Permanente di Etnografia Alpina (Spea 14), che quest'anno si occupa de "Le frontiere nascoste della cultura del vino". Un gruppo di ricercatori dell'Università di Vienna si è recato nei due paesi per valutare se, quarant'anni dopo Wolf e Cole, le differenze si siano ridotte. I risultati sono poi stati raccolti in questo libro, che illustra come la frontiera sia sempre meno rigida, mentre la diversità si è accresciuta. Come nelle attese dei due etnografi, che sostenevano che le identità etniche non sono delle essenze primordiali ma degli strumenti interattivi utili all'organizzazione e riorganizzazione sociale delle comunità, lungo confini porosi e costantemente rivisti, al variare delle circostanze storiche, economiche e politiche. In pratica oggi la frontiera è molto più flessibile. Ad esempio è cresciuto il numero di coppie miste, diversi giovani di Tret lavorano a St. Felix, mentre i contadini di St. Felix consegnano il latte al caseificio di Fondo, tutte cose che negli anni Sessanta potevano essere solo immaginate da qualche idealista. D'altra parte la disparità fra le due comunità è aumentata: St. Felix è abbastanza benestante, i suoi contadini ora hanno sviluppato una vocazione agrituristica ed artigianale, anche grazie ai finanziamenti della Provincia di Bolzano e ai fondi europei, che invece, per ragioni che gli autori non pare siano stati capaci di determinare, non vengono richiesti dalla Provincia di Trento. Così Tret si sta svuotando e chi è rimasto lavora a Trento, in altri comuni limitrofi, oppure nella zona artigianale a St. Felix. Nel loro libro, Cole e Wolf spiegavano che l'indisponibilità a fondere le rispettive tradizioni in un unico orizzonte socio-culturale derivava in larga parte dalla divergenza nella gestione del potere in seno alla famiglia, che si esplicitava nella prassi della trasmissione ereditaria dei beni. A St. Felix l'organizzazione era gerarchico-piramidale, di tipo aristocratico-feudale, con il patriarca e poi il primogenito maschio alla sommità (lignaggi esclusivi); a Tret vigevano invece i principi più democratici dell'equanimità e dell'adattabilità (relazioni aperte ed intrecciate). Queste discordanze nelle relazioni di potere e prestigio sono servite poi alle due comunità per accentuare la loro diversità, in modo da stabilire identità separate, un meccanismo psicologico universale nella specie umana. Così St. Felix è più coesa e chiusa rispetto all'esterno, familista ed orgogliosa della sua ruralità e del suo autogoverno, mentre a Tret si privilegiano reti comunitarie duttili ed estese e si emigra molto più frequentemente. I due etnografi suggerivano due parole chiave per comprendere questa difformità: ordine per St. Felix, flessibilità per Tret. La chiave di lettura è dunque quella del potere, non della cultura. E, a questo proposito, le conclusioni di Wolf e del suo assistente di allora Cole sono state inequivocabili: esortavano ad "esplorare il nesso tra idee e potere", esaminando il modo in cui "le idee divengono monopolio dei gruppi di potere" e "le vecchie idee sono riformulate alla luce della diversità di contesto, mentre le nuove idee sono presentate come verità ancestrali".
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