Prigionieri a Yol storia dimenticata dei trentini in India



Il video «Prigionieri di guerra in Himalaya (Yol Camp 1941-1946)», con la regia di Agrippino Russo e Diego Busacca - realizzato dall'associazione Ciak con il contributo finanziario della Fondazione Caritro e co-prodotto con la Fondazione Museo Storico del Trentino - ha lo scopo di documentare l'esperienza dei prigionieri di guerra, in particolare dei trentini, deportati nel campo di prigionia inglese di Yol (nord dell'India - valle di Kangra presso Dharamsala). Storia del tutto dimenticata. Nella seconda guerra mondiale circa 600.000 militari italiani furono catturati dagli anglo-franco-americani, circa 500.000 dai russi, circa 650.000 dai tedeschi dopo l'8 settembre. In totale un milione e trecentomila uomini, quasi tutti tra i venti e i trentacinque anni. Di essi un milione e duecentomila rientrarono in Italia tra il 1945 e l'inizio del 1947, ma nessuno ebbe l'accoglienza che, a torto o a ragione, si aspettava. L'opinione pubblica, le forze politiche, le autorità militari e gli studiosi della guerra continuarono a disinteressarsi delle diverse prigionie anche nei decenni successivi, solo verso gli anni Ottanta del secolo scorso la memorialistica lascia il posto a studi più documentati. Dei prigionieri in mano agli inglesi 33302 vengono deportati in India, e di questi 10.000 ufficiali sono rinchiusi nel campo di Yol, dove rimarranno fino alla fine del 1946.  In questo campo dopo l'8 settembre accade una situazione che non ha eguali in altri campi: la diversa condizione dei militari italiani rispetto agli inglesi attenua le durissime condizioni del campo. Ai prigionieri viene concessa la possibilità di uscire sulla parola per diversi giorni con la promessa di non fuggire e di presentare una relazione. Dapprima i permessi erano per brevi passeggiate, poi furono concessi periodi di più giorni. Alcuni di loro, appartenenti agli Alpini, si misero a scalare le montagne himalayane del Dhauladhar, le cui cime vanno dai 4000 ai 6000 metri, ai cui piedi era collocata Yol. Fra le vette raggiunte spicca la Cima Otto, di 4.981 metri. L'attrezzatura è di fortuna, costruita con ciò che si poteva trovare nel campo, piccozze fatte con la latta fusa delle scatolette per alimenti. Più di 1000 ufficiali non accettano invece di giurare fedeltà al re e rimangono fedeli al fascismo, per motivi ideologici o per mantenere le distanze verso gli inglesi. Questi vengono concentrati nel campo 25 (uno dei quattro che costituiscono il campo di Yol), che nella memorialistica dei reduci della Repubblica Sociale italiana viene chiamata Repubblica fascista dell'Himalaya facendo in qualche modo proprio l'ironico appellativo degli inglesi RIF (Repubblican Italian Fascist),  Il punto di partenza del documentario è stata la video-intervista con il tenente Felice Manzinello (parte dei contenuti della quale si trovano nell'articolo Prigionieri italiani in Himalaya apparso sul "Bollettino SAT", n.3 2005). Manzinello è l'ultimo dei testimoni ancora viventi di una lunga schiera di trentini fatti prigionieri in Africa e deportati in India. Testimonianze trentine di questa vicenda sono state lasciate anche da Mario Libardi (Ricordi di guerra e di prigionia, Trento, Federazione provinciale dell'ANCR 1986) e da Piero Gilli, il cui diario è depositato presso la biblioteca di Fiera di Primiero. Nel corso del lavoro è stata acquisita la testimonianza di Massimo Ocello, il cui padre era uno dei prigionieri del campo di Yol. Sulla base delle interviste e del materiale documentario, sia cartaceo che audiovisivo, raccolto in Italia si è proceduto a verificare la permanenza del ricordo di queste vicende nella valle del Kangra dove è ubicato l'abitato di Yol.  Una prima difficoltà è stata data dal fatto che il campo di prigionia è attualmente una base dell'esercito indiano, la più vicina e sensibile alla zona di conflitto del Kashmir.  L'acuirsi nel corso del 2009 degli attentati contro il governo di Delhi ad opera dei separatisti kashmiri e la conseguente intensificazione delle misure di sicurezza ha impedito che le autorità militari indiane concedessero il permesso, già garantito, di filmare l'interno della struttura. Del resto del vecchio campo restano ben poche testimonianze essendo state cancellate dopo il 1989 con la ristrutturazione dello stesso.  Nel corso della permanenza nella valle del Kangra e su segnalazione delle autorità militari indiane, si è proceduto al ritrovamento del vecchio cimitero italiano, ridotto in condizioni pietose anche se va detto che non sono più presenti le salme dei caduti; all'identificazione di testimoni ancora in grado di ricordare la presenza dei prigionieri italiani; alla riscoperta dei percorsi montani che i prigionieri trentini seguirono nella loro esplorazione della catena himalayana del Dhauladar.  Si è così ricostruita sui due versanti, trentino e indiano, una storia affatto dimenticata. Nel corso di questi anni l'attenzione degli storici e la raccolta di testimonianze ha riguardato soprattutto il primo conflitto mondiale: non ci si è accorti che intanto i testimoni della seconda grande tragedia del Novecento stavano scomparendo. La presentazione del documentario oggi alle 18 alla sede della Fondazione Caritro a Trento.

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