Lanzinger: «Così è nato il Muse e questo è il futuro che lo attende»
Parla il direttore che immaginò “la creatura” e che la portò a compimento. E che sa che ora le sfide cambiano ancora
TRENTO. Michele Lanzinger è il direttore del Muse. Michele Lanzinger è l’uomo che ha immaginato il Muse. Poi il disegno lo ha fatto Renzo Piano, l’archistar, ma lasciandosi guidare dallo studioso. Che è stato anche un visionario. E ha portato il Muse dove lo troviamo adesso. Il Muse è notissimo in Italia e compie solo 10 anni. E quando si entra al Muse e si parla con Lanzinger si capisce che Muse e Lanzinger sono una cosa sola. Fra un anno il direttore andrà in pensione. Chissà che Muse sarà. Ora però è il momento della festa. E con Lanzinger ragioniamo di ciò che il Muse è stato, ciò che è. E buttiamo lì qualchè suggestione su ciò che sarà.
Lanzinger, quando è stato concepito il Muse?
L’idea di espandere il museo che allora era in via Calepina ci venne dopo alcune grandi mostre temporanee che avevano annullato l’esposizione permanente. E poi c’era il desiderio di aprire un’attività sul fronte interattivo: dovevamo ammodernarci. Queste due cose collidevano con l’angusto spazio di via Calepina: dovevamo diventare più grandi. Quando hanno iniziato a divenire concrete le idee di sviluppo dell’area ex Michelin, ci siamo proposti all’amministrazione comunale.
Ma mica avete presentato un progetto così, su due piedi.
No, certo che no. Ci siamo mossi secondo una logica di “soft power”, costruendo un percorso di persuasione culturale, con proposte, ragionamenti, invitando ospiti provenienti da altre esperienze europee per spiegare cosa intendevamo.
E voi intendevate “Science Center”.
Sì, avevamo in mente il passaggio da un museo naturalistico tradizionale a un “Science Center” di quelli che si trovano nelle capitali europee. I musei interattivi allora erano pressoché sconosciuti. In Italia c’era solo a Napoli: la Città della Scienza.
E in quel percorso avete iniziato a mettere a fuoco la “creatura”...
Beh, diciamo che abbiamo messo a disposizione della Provincia un progetto (non architettonico) ma che poteva offrire l’idea sia della dimensione che dell’organizzazione che erano necessarie: abbiamo focalizzato quanto poteva costare al metro quadro lo spazio espositivo. E così abbiamo reso chiaro il costo di gestione. Di fatto abbiamo messo la Provincia in condizione di avere una chiara idea del progetto.
Che ipotesi era?
Vicina e distante insieme a quanto poi è avvenuto. Vicina per dimensioni di volumi e costruzione di spazi, lontana per quanto riguarda la riuscita in termini di visitatori, di “attrattività turistica”.
Quanti visitatori immaginavate?
160 mila all’anno. Era una previsione prudente, certo. Ma mai avremmo pensato di poter arrivare così in alto. La verità è che eravamo concentrati sulla mission. Noi vedevamo al centro la scienza, la natura, l’ambiente, le tecnologie.
E così è nato il Piano di fattibilità.
Esatto, nel 2003. E poi, da lì, la richiesta di un progetto preliminare. Abbiamo impostato tutto secondo il motto: “pensa globale, agisci locale” e così abbiamo immaginato una struttura con la verticalità del racconto alpino. Era un discorso pienamente ecologico: un museo che fosse visitabile dal fondovalle fino alle vette e viceversa.
Quando parlavate in Provincia c’era attenzione solo per i numeri? Per i costi?
Per la verità io ricordo un atteggiamento di forte attenzione e di supporto più che di scetticismo e di distacco. C’erano anche critiche: ma sono sempre necessarie.
Il Muse è un motore di innovazione culturale. Avevate chiara quest’idea? La spiegavate bene?
Ricordo che abbiamo discusso con Provincia, Comune, Apt, industriali, camera di commercio perché volevamo che la nostra idea fosse condivisa. E ci siamo mossi con uno spirito interdisciplinare, non diviso per cattedre scientifiche, convinti, come diceva Alex Langer che “la conversione ecologica potrà avvenire soltanto se apparirà socialmente desiderabile”.
E il Muse ora è una “centrale” sui temi ambientali.
Noi siamo un museo “attivista” in questo senso, benché continuiamo ad essere un museo naturalistico. Perché siamo un museo “chiacchierone”: non si tratta di uno spazio di contemplazione. Il museo ti fa interagire, fa parlare i visitatori fra loro, ti porta alla tua ultima escursione in montagna, ti fa ricordare una lezione fatta a scuola. C’è un alto rumore di fondo dentro il museo perché tutti chiacchierano su ciò che vedono. Ed è ciò che vogliamo: ossia mettere a disposizione elementi di conoscenza per farsi un’idea del mondo.
Siete “omnichannel”, ossia divulgazione, tv, spazio fisico. Ma siete anche “ricerca”.
Guardi, uno degli elementi che hanno permesso al Muse di avere successo è proprio il fatto che il museo è anche ricerca scientifica. Abbiamo una squadra di 50 ricercatori che esplorano, che fanno pubblicazioni su riviste internazionali, che partecipano a convegni, oltre ad essere preparatissimi comunicatori. Qui si riproduce la filiera che permette la comunicazione con il visitatore in base al sapere scientifico più avanzato.
E così siete diventati attrazione turistica.
Sì, ma con il coinvolgimento del visitatore.
Però vi siete trasformati in un motore di sviluppo locale e così la città ora pretende sempre dal Muse una performance di alto livello.
Siamo attenti ai numeri perché fanno parte dell’essenza delle cose, ci concentriamo per essere un luogo di valore per stagioni intermedie.
E ci siete riusciti. Avete dato una spinta al turismo in città.
Siamo partiti bene. E Trento ha superato un milione di visitatori l’anno dopo che ha aperto il Muse. Lo hanno capito i trentini, gli albergatori, che se piove mandano i turisti al Muse. E la domenica se piove noi dobbiamo aumentare il personale.
I video e le foto delle code davanti al Muse sono state anche uno spot, no? Era una spirale positiva.
Guardi che mentre veniva costruito il Muse la gente si chiedeva: ma cosa vorranno fare? Una cattedrale nel deserto? Noi abbiamo sempre combattuto contro quest’idea. Noi ora abbiamo entrate generate autonomamente dal museo equivalenti a quanto ha dato la Provincia. Il costo della costruzione dell’edificio a 10 anni è stato ammortizzato e redistribuito sulle categorie economiche: dieci anni è un periodo breve.
Poi il Muse non è solo museo. È un pezzo di città.
Il 64% dei visitatori proviene da fuori provincia. Ma noi siamo un ente provinciale e ci sentiamo intimamente un museo cittadino. Continuiamo a ospitare conferenze, a dare spazio a associazioni culturali, mondo onlus, ora anche proposte “fuori orario” di dialoghi e musica per i giovani.
Dieci anni. Un traguardo. Ora però bisogna andare oltre...
Questo è un ragionamento costante per noi. Facciamo una programmazione annuale e strategica, che guarda avanti. Pensiamo sempre a cosa può essere la proposta in più per l’anno successivo. Come Lincoln pensiamo che “il miglior modo di prevedere il futuro è crearlo”.
Sì, ma l’invenzione non può essere una cosa astratta, avulsa.
No, affatto. Dobbiamo inventare in modo sociologico.
E quindi?
Quindi ci sono aspetti fondanti dell’attività museale su cui bisogna contare: ossia il luogo in cui sono conservati i beni culturali è l’unicum che giustifica il museo e va mantenuto. Cambia invece l’esperienza di visita così come cambia la società.
Allungate la visita sui social network?
Già lo facciamo, ma dobbiamo farlo ancora di più. La domanda infatti è: il museo nel mantenere il suo futuro potrà estendere l’esperienza nell’infosfera social? Riuscirà a portare la consapevolezza sulla sostenibilità anche attraverso i social?
Perché la vostra mission è la “relazione” con il visitatore.
Esattamente. Noi dobbiamo pensare a questo: i visitatori con cui parte un modo di conversare come diventano “ambasciatori” del museo e del suo messaggio? Così, attraverso i visitatori, cambieremo pelle e immagine del museo. Ma l’altra domanda è: che cosa vorrà dire l’Intelligenza Artificiale in uno spazio espositivo? L’Intelligenza Artificiale è ricca di informazioni su di noi: come creerà contesti di visita con il tuo telefonino per il tuo ingresso del 20 luglio 2027, come declinerà il tuo accompagnatore virtuale la visita con la tua famiglia, le tue conoscenze, i tuoi studi, i tuoi interessi? Ecco noi dobbiamo capire questo. E attrezzarci.
Non è semplice.
Ma ce la faremo.