«Ecco le priorità: lavoro e migranti»
Nel suo primo pontificale l’arcivescovo Tisi lancia anche un monito: «Basta con i litigi». E un invito a «rallentare»
TRENTO. La disoccupazione, l’immigrazione, ma anche la necessità di abbassare i toni della polemica e rallentare il ritmo frenetico delle nostre vite, perché «la gioia del raccolto passa necessariamente dalla pazienza della semina». Nel primo solenne pontificale in onore del patrono San Vigilio, ieri in Duomo, l’arcivescovo Lauro Tisi ha spaziato da temi politici e di attualità a questioni legate all’interiorità dei fedeli.
Monsignor Tisi, lei ha parlato della mancanza del lavoro, come fonte di sostentamento ma anche “condizione per dare dignità alla vita”. È questo “il Problema” delle persone e delle famiglie che lei incontra nella quotidianità? E di fronte a una questione di tipo macroeconomico come questa, cosa può fare ciascuno, nel proprio piccolo, per aiutare chi cerca un impiego?
Per me questo è il Problema. Perché aldilà di quanto dicono i dati sugli indici economici, non c'è famiglia che non abbia in casa situazioni o di persone sui 50 che perdono il lavoro e non sanno più cosa fare, oppure di giovani che non riescono a trovarlo. Ed è un problema sommerso: per questo ho voluto dargli voce.
Se ne parla molto per la verità…
Sì, però più in termini generali e statistici. È importante che lo portiamo al centro di un dibattito serio.
Parla dell'agenda politica...
Certo. È chiaro che non c'è una formula magica perché è una questione strutturale e mondiale, ma non si può cavarsela con questo. Io vedo che alla fine il vero welfare sono le famiglie stesse, che in qualche maniera si barcamenano. Qui non si tratta di dire che i giovani non partono da casa: non possono farlo.
Ha anche detto che la società civile “è attraversata da velenose forme di contrapposizione e di conflitto”. E ha ammonito: “Siamo schietti: stiamo litigando troppo!” Si riferiva alla politica?
A tutti gli ambiti: non solo quello politico, anche quello ecclesiale se vogliamo. La gente continua a urtarsi perché, come ho detto anche nella lettera pastorale, non c'è il tempo per abitare l'interiorità: la gente non riesce ad ascoltare se stessa e a governare le emozioni che vive. Per questo ci vorrebbe un'igiene del silenzio per recuperare le ragioni dello stare insieme.
Quindi nell’era della comunicazione regna sovrana l'incomunicabilità…
Sì, ma non è colpa degli strumenti, quanto di un sistema che di fatto non sta comunicando.
Lei ha anche invitato ad “abbassare i toni per percepire la domanda di vita e di dignità dei nostri fratelli migranti”. I toni troppo elevati sono quelli dei Salvini, dei Farage & co.?
Non farei un nome o l'altro: io dico semplicemente che sulla questione migranti un po' tutti spariamo sentenze e usciamo con delle affermazioni qualunquistiche che, come per il lavoro, dimenticano il fatto in sé. Attribuiamo a queste persone la colpa di migrare, ma siamo stati noi a creare le condizioni di un sistema economico che li costringe a migrare.
Tra venti o trent'anni lei vede un'Europa più “meticcia”, come gli Stati Uniti, dove ci sia una pluralità maggiore di culture ma anche di religioni?
Non è che lo vedo io: questo è un dato di realtà. Non abbiamo nati e i nostri ospedali, il nostro welfare poggia su di loro.
Al festival dell'Economia Innocenzo Cipolletta e altri relatori hanno parlato dell'immigrazione come di uno strumento di crescita…
Sono d'accordissimo. I migranti sono una grande risorsa: come ho detto alla Festa dei popoli, nei loro occhi vedi il sogno di un futuro. Più che nei nostri.
Lei ha invitato anche ad “allenarsi sempre più ad attendere: la gioia del raccolto passa necessariamente dalla pazienza della semina”. Rallentare non è certo facile nel mondo in cui viviamo. Qual è il consiglio per riuscirci da parte di un vescovo abituato a girare come una trottola fra le parrocchie?
Prendere la decisione di rallentare: perché questo è possibile. Diciamo che ci manca il tempo ma per alcune cose lo troviamo. Quindi si può fare.