Disabili, malati, soldati: gli sterminati della Shoah 

Le storie ricordate ieri a Palazzo Geremia. Andreatta: «Combattere l’indifferenza e il negazionismo». Medaglia d’onore alla memoria del sopravvissuto Mario Groff


di Paolo Piffer


TRENTO. Oltre 70mila disabili e malati psichici (di cui 5000 bambini e ragazzi) vennero uccisi nelle camere a gas del regime nazista in due anni, tra il 1940 e il ’41, all’indomani della lettera con la quale Hitler dava il via all’operazione T4, che stava per Tiergartenstrasse, nome e numero civico della via di Berlino sede dell’ente pubblico per la salute e l’assistenza sociale. In seguito, le condizioni di guerra, il marasma in cui si dibatteva l’Europa in guerra ha impedito agli storici di proseguire a compilare una contabilità dell’orrore attendibile.

Anche dal manicomio di Pergine e dall’Alto Adige partirono alla volta dell’Austria e della Germania decine e decine di malati che non fecero ritorno, di cui non si seppe più nulla e le cui storie sono riemerse solo negli ultimi anni del secolo scorso attraverso alcune ricerche storiografiche e le memorie dei parenti delle vittime. Storie di un’umanità dispersa, negata, rimosse per decenni, quasi fosse una vergogna. Rosa Unterweger, 12 anni, di Silandro, venne assassinata nel ’43. Solo due anni fa il Comune, la scuola, l’ospedale venostani le hanno dedicato una stele. Ida Sailer di Sarentino e Max Platzer di Merano. Altri due nomi, insieme a quelli di tanti altri bambini dispersi nel vento, senza un nome su una tomba. Il Giorno della memoria in programma oggi, a ricordo dell’Olocausto ebraico ma anche di tutti i perseguitati dalle leggi razziali come di chi si oppose alla Germania nazista e all’Italia fascista, è stato anticipato a ieri pomeriggio dall’amministrazione comunale. A palazzo Geremia - presenti il sindaco, il commissario del governo Pasquale Gioffré, la presidente del consiglio comunale Lucia Coppola, Giuseppe Ferrandi direttore del Museo storico del Trentino e Mario Cossali, presidente dell’Anpi in rappresentanza dell’associazione degli ex internati militari (Anei) - è stato rievocato il massacro dei disabili e dei malati psichici. Perché una giornata come questa non può che estendersi anche a loro come agli omosessuali, ai rom, ai sinti, “razze” inferiori, come altre, per il delirio hitleriano. E al di là della retorica (peraltro nobile e antica arte oratoria), momenti come questo risultano ancora più indispensabili a fronte di rigurgiti xenofobi, razzisti, fascisti e neonazisti che viaggiano in Europa veicolati spesso da beceri populismi che si scagliano contro altre “razze”, che arrivano dall’altra sponda del Mediterraneo. Il sindaco Alessandro Andreatta lo ha ricordato. “Nonostante questo costante e necessario lavoro sulla memoria – ha detto – nel web e negli stadi di calcio dilagano teorie revisioniste e negazioniste di ogni risma. Anche per contrastare l’indifferenza o, peggio, la montante ondata di menzogne antistoriche e irrazionali è importante ritrovarci qui, ostinatamente, ogni anno. Comprendere la disabilità nell’orizzonte dell’umano significa vaccinarsi contro i deliri di onnipotenza”. Macinati dalla Storia fu anche la gran parte dei soldati italiani che dopo l’8 settembre ’43, quando, con l’armistizio, il Regno d’Italia passò sotto l’ombrello Alleato, vennero deportati dai nazisti nei lager e nei campi di lavoro. Furono rinchiusi in 730mila (tra ex Imi e prigionieri di guerra) di cui 600mila rifiutarono di continuare la guerra coi tedeschi o servire la Repubblica di Salò, ne morirono tra i 37mila e i 50mila. I trentini erano circa 10mila (800 non tornarono a casa).

Mario Groff, di Trento, era uno di loro. Ai parenti il commissario Gioffrè ha consegnato la medaglia d’onore alla memoria. E’ una storia rocambolesca. Dopo esser stato sul fronte francese e in Albania, venne preso a Merano e mandato a Steyer, in Austria. Conobbe una ragazza optante originaria di Salorno che lo aiutò a fuggire e nascose. Ritornarono in Italia a guerra finita e si sposarono. Fino alla fine.

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