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L’esperto: «La neve? Sarà sempre più un ricordo»

Per Giacomo Bertoldi, ricercatore Eurac, occorre adeguarsi a un clima generalmente più siccitoso e prevedere strutture per immagazzinare acqua, come i bacini di accumulo 


Astrid Panizza Bertolini


TRENTO. Il tema del momento è il cambiamento climatico legato alla sostenibilità ambientale. A tal proposito, Eurac (Academia Europea per la ricerca applicata e il perfezionamento professionale) ha pubblicato recenti studi sui trend di innevamento nelle Alpi dal 1980 al 2020. È emerso che a causa dell’aumento delle temperature, come prevedibile il livello delle precipitazioni nevose è calato, soprattutto a basse altitudini, mentre invece sopra i 2mila metri la neve resiste nei mesi invernali, ma tende a scomparire in fretta con l’arrivo della primavera.

Uno degli autori dello studio (dal titolo “Diverging snowfall trends across months and elevation in the northeastern Italian Alps”, in italiano: “Trend di innevamento divergenti tra mesi e altitudine nelle Alpi italiane nord-orientali”) è Giacomo Bertoldi, ricercatore di Eurac e ingegnere specializzato in idrologia. Abbiamo chiesto a lui di delineare il quadro emerso dalla ricerca e di valutare possibili scenari futuri partendo dai dati oggettivi raccolti.

Considerando la preoccupazione attuale in alta quota, si può fare una previsione di come andranno i prossimi mesi?

No, non ci sono dati precisi per avere una visione d’insieme. Nelle prossime due settimane sul Trentino non ci saranno precipitazioni, ma sul lungo periodo non vi sono certezze. Con il cambiamento climatico, comunque, non è detto che in futuro andremo incontro ad inverni sempre così poveri di precipitazioni. È importante distinguere la scarsità di precipitazioni attuale dalle tendenze a lungo termine. Questi ultimi due anni sono stati secchi e con temperature sopra la media e i modelli dicono che le temperature continueranno ad aumentare, ma potrebbero anche esserci inverni ricchi di precipitazioni.

In futuro, però, le nevicate in media saranno comunque meno rispetto al passato. Andiamo incontro a eventi più improvvisi e violenti come tempeste di neve?

Il modello statistico riporta un aumento medio di eventi intensi, ma non con certezza e regolarità. La possibilità di eventi disastrosi quindi esiste, ma non è sicura. Per quanto riguarda le nevicate come le conosciamo noi invece, saranno meno regolari rispetto a una volta.

Qual è l’orizzonte temporale da considerare prima di vedere la neve scomparire?

In alcune zone tutto ciò è già realtà, nei comprensori sciistici a bassa quota la neve è garantita solo grazie agli impianti. Per quanto riguarda l’alta quota, a seconda dello scenario climatico la situazione influisce parecchio. Se non si agisce, nel 2100 potrebbe esserci l’ 80% in meno del manto nevoso attuale.

Considerati questi dati allarmanti, cosa si può fare per agire?

Bisogna utilizzare due misure: innanzitutto sarebbe auspicabile programmare un’azione a lungo termine, riducendo le emissioni a livello globale, oltre ad attrezzarsi per essere più resilienti ad un clima con maggiore siccità prevedendo opere per immagazzinare acqua, come bacini di accumulo, prendendo esempio da ciò che già avviene in Sud Italia.

La situazione non è disastrosa, ma se non facciamo nulla per adeguarci saremo sempre più vulnerabili e potrebbero addirittura innescarsi conflitti fra le zone a monte e quelle a valle per l’uso dell’acqua.

Cosa vuol dire adeguarsi, in concreto?

È un concetto che si esprime su più livelli. Innanzitutto con monitoraggi per avere dati precisi e fare previsioni che considerino la quantità di acqua disponibile, per sapere come gestirla. A livello istituzionale si dovrebbe migliorare la comunicazione tra i vari enti che si occupano di acqua, anche adattando le reti di distribuzione, come i sistemi di irrigazione, installando quelli più efficienti. Per quanto riguarda le infrastrutture, bisognerebbe costruire bacini di accumulo a livello locale oppure come consorzio irriguo. In prospettiva, inoltre, c’è da pensare all’adattamento delle colture agricole che richiedono meno acqua, per evitare l’inutile dispendio di questa risorsa. Sarà ancora sostenibile la coltura delle mele? Bisognerà spostare le vigne più in quota? L’adattamento del nostro sistema agricolo dovrà seguire l’andamento del clima.

Questo discorso è da applicare anche al comparto sciistico a bassa quota?

Per quanto riguarda il turismo invernale, sembra che le dichiarazioni stiano diventando sempre più opinioni personali e non più scientifiche. C’è una soglia fino a cui le temperature sono favorevoli per produrre neve artificiale, ci sarà però un momento in cui alle quote più basse le temperature si alzeranno al punto da non permettere più di creare neve tecnica. Ma non possiamo sapere esattamente quando succederà. Fra 20-30 anni? Forse. Chi se lo potrà permettere, allora, si adatterà con tecnologie sempre più potenti. È una strategia poco sostenibile, però gli impianti di innevamento potrebbero essere considerati come fabbriche, che creano lavoro e forniscono un servizio. Per cercare alternative nel lungo periodo è necessario un ripensamento totale del nostro modello di società. In questo caso, i comprensori a bassa quota possono per esempio puntare sul turismo estivo, perché le estati in pianura diventeranno sempre più insopportabili ed ecco allora che i cittadini si rifugeranno in vacanza al fresco, in montagna.

 













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