«In quegli amori comunisti passione vera per gli ideali» 

Sabato a Rovereto presenterà il suo ultimo libro: «Il ’900? Non solo orrori»


di Paolo Morando


È reduce dal Salone del Libro di Torino, dove ha presentato il suo ultimo “Amori comunisti” (Nottetempo, 272 pagine, 16 euro). Dopodomani, sabato 19 maggio, sarà a Rovereto, alle 19 alla libreria Arcadia, dove ne parlerà in dialogo con Giorgio Gizzi. Per dire anche solo brevemente di lei, figura storica della sinistra italiana, servirebbe l’intera pagina. Basterà quindi accennare alle numerose elezioni alla Camera e all’Europarlamento, dopo decenni di militanza nel Pci e la successiva radiazione, in quanto tra i fondatori del Manifesto. Mentre Sel, alle ultime elezioni per il presidente della Repubblica, scelse proprio lei come candidata di bandiera. Una vita a sinistra dunque, che oggi Luciana Castellina, 88 anni, sull’onda dei precedenti “Scoperta del mondo” e “Siberiana” declina nella scrittura di un altro libro sorprendente, che racconta un aspetto poco conosciuto delle vite “non pubbliche” dei comunisti: quello sentimentale. Un aspetto che lei stessa conosce bene, avendo sposato Alfredo Reichlin. Sono gli amori tra Nazim Hikmet e Münevver Andaç, tra Argyrò Polikronaki e Nikos Kokulis e tra Sylvia e Robert Thompson: un racconto intessuto di ricordi effettivi e incontri personali, le storie di tre coppie provenienti da paesi molto differenti come Turchia, Grecia e Stati Uniti. Vite complicate e amori incredibili che hanno percorso la seconda metà del secolo scorso, accomunati dal fatto di essere osservati e spiati, nel periodo della “guerra fredda”.

Perché raccontare oggi storie d’amore di tanti anni fa? Dove sta l’attualità?

La ragione è molto personale: sono storie che ho conosciuto, in modo casuale facendo il mestiere di giornalista, che mi hanno scosso e che ho sempre avuto voglia di raccontare. Ma c’è anche una motivazione politica: ero stufa di sentir parlare dei comunisti solo a proposito di errori e orrori. Ho voluto dire: guardate che i comunisti, non tutti per fortuna, hanno avuto anche vite drammatiche per il fatto di essere tali. E dunque anche amori drammatici. Questo scatto di rabbia mi ha indotto finalmente a raccontare quanto sentivo dentro da molto tempo.

Vicende accomunate dall’essersi svolte in un periodo storico di contrapposizione politica enorme rispetto a oggi.

Oggi in Europa viviamo più tranquilli, ma immagino storie altrettanto drammatiche in Medio Oriente o Afghanistan. La cosa che più colpisce è che allora c’era una passione politica prevalente, che ha dominato la vita. Oggi questo elemento non c’è più. E manca, questa passione di cambiare il mondo. La vita, non solo nelle storie molto particolari che racconto, era fatta di passione, impegno, dedizione e sacrificio.

Forse è proprio questo a dare la misura del passaggio del secolo: il Novecento segnato da passioni che delineavano le identità, i giorni nostri in cui la passione politica non fa parte delle nostre vite. È così?

La passione c’è anche oggi, forse più di quanto si pensi o si dica. C’è un’Italia con gruppi di volontariato e iniziative locali che ripropongono un impegno politico e sociale. Il problema è che sono gruppi frammentati e spesso con dimensione politica debole, a prevalere è invece quella solidaristica. Questo mi colpisce. E penso a quanto ha detto papa Francesco in un discorso del 2016 al raduno dei movimenti, un discorso tra l’altro contenuto in un libro che è stato diffuso dal Manifesto.

Circostanza che un tempo sarebbe apparsa singolare.

Guardi, due settimane fa ho presentato proprio questo libro assieme al vescovo di Bologna, nel più importante centro sociale della città, che tra l’altro era pure affollatissimo.

E che cosa dice il papa?

Una cosa bellissima: ragazzi, la carità è molto importante, ma ci vuole la politica.

Detto da lui c’è da credergli.

E lo dico anch’io, ovviamente senza la sua autorità. Ci sono moltissimi gruppi, che si occupano ad esempio dei migranti, ma manca appunto la dimensione politica, l’inserirsi in un progetto. Allora c’era invece questa idea che il mondo lo si poteva e doveva cambiare: io parlo dei comunisti, ma ci sono stati molti altri movimenti impegnati in questo senso.

Perché del comunismo si parla oggi solamente in termini di errori e orrori?

C’è stata una demonizzazione del passato voluta, il 20° secolo ricordato solo come una serie di orrori. Certo, ci sono stati: il nazismo, molte cose dell’Unione Sovietica, ma è stato anche un secolo di straordinarie conquiste, che ha enormemente spaventato la testa della gente e l’ha liberata. E ci metto anche il ’68. C’è una bella frase dell’economista Arrighi: il ’68 è stato come il ’48, entrambi hanno perso ma entrambi hanno cambiato il mondo. Le rivoluzioni servono anche se non raggiungono quanto promettono, perché consentono di pensare l’impensabile. E questo è fondamentale. Invece ora si cerca di chiudere tutti nella gabbia del presente: se si dice che il passato è stato solo storia di orrori, si finisce con il far perdere anche la prospettiva di un avvenire migliore.

Un atteggiamento autenticamente reazionario.

È esattamente così.

Che cosa possono insegnare oggi queste storie d’amore?

Soprattutto questo dato politico e morale: l’essere pronti a sacrificarsi per un’idea. C’è una poesia di Hikmet, che nel libro cito: quando gli si chiede che cosa è disposto a fare per cambiare le cose in Anatolia, lui risponde “tutto”. E lo ha fatto. Questo, anche senza gli aspetti eroici delle storie che racconto, è stato un tratto importante della mia generazione. Sono storie d’amore rivelatrici di questa valorosa condizione di sacrificio.

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