Lucia Del Vecchio, quando la birra è inclusiva
Il suo birrificio collabora con i ragazzi di Casa Sebastiano. L’attività di un’imprenditrice che mai si piega di fronte a tante sfide: dalla malattia alla concorrenza, dal Covid al bypass
MATTARELLO. Quando un birrificio non è solo un lavoro, ma una questione di vita e quando la vita ti ha messo a dura prova, reagisci e apri le porte della tua azienda a chi è in difficoltà: nessuno escluso.
Un esempio? Il mercoledì è la giornata dei ragazzi autistici di Casa Sebastiano di Coredo: scendono in cinque, che molte volte diventano sei perché si divertono troppo a passare una giornata condivisa tra gli operatori e Lucia Del Vecchio.
Lucia da dove partiamo?
Direi dal 1993 quando col mio compagno Massimo lasciamo Bari per venire in Trentino alla ricerca di un lavoro. Lo troviamo alle Poste, ma poi quando tutto sembra andare per il meglio come neo assunti veniamo equiparati agli esuberi e ci propongono un incentivo per lasciare il lavoro. Ce ne andiamo e mettiamo le basi per aprire un nostro birrificio, ma a febbraio del 1995 Massimo viene colpito da ictus e resta invalido totale: non mollo perché quello era un nostro progetto e lo doveva diventare lo stesso.
Un birrificio, 5+, che nasce nel momento del boom di quelli artigianali, fra di voi si è creata una rete solidale?
Assolutamente no. Il nostro era il 33mo birrificio artigianale, ma allora come oggi l’unico a Trento: nessuno ci ha dato una mano. Un po' perché ero l’unica donna e nemmeno più giovanissima, ma di fatto non si è fatto avanti nessuno; per fortuna che ho trovato un birraio che ha creduto nel nostro progetto e abbiamo iniziato.
Volete trasferirvi dalla sede di Mattarello: perché?
Perché sono iniziati i lavori del bypass e non si vive più. Abbiamo polvere in quantità tale che non basta nemmeno chiudere le porte: filtra, ma noi dobbiamo preservare il prodotto. Poi arriveranno le vibrazioni. Insomma per un’attività produttiva non è più vita.
Prospettive?
Abbiamo escluso i privati e ci siamo rivolti direttamente alle istituzioni. Ianeselli e Fugatti conoscono molto bene la nostra situazione e con loro stiamo lavorando per trovare un’alternativa nel breve termine.
Birrificio 5+, cosa vuol dire?
Si riferisce agli ingredienti della birra che sono acqua, malto, luppolo e lievito ai quali si aggiunge la passione per il nostro lavoro.
Però la montagna non è ancora scalata.
No perché arriva il Covid e mi diagnosticano una grave malattia per fortuna al primo stadio. Debellata anche quella. E guardiamo avanti.
Comincia la collaborazione con Casa Sebastiano.
Un sogno che condividevamo con Massimo era quello di collaborare con ragazzi down o autistici. L’occasione è nata con Casa Sebastiano; mentre con la birra Cro(mosoma)21 prodotta in collaborazione con Uva e Menta di Trento sosteniamo l’Associazione Italiana Ragazzi Down.
Impegno giusto e condivisibile, ma di fatto promuovete una bevanda alcolica tra i giovani.
Va fatta una considerazione di base: le nostre birre sono a bassa percentuale alcolica: da 4,4 a 8 gradi massimo; hanno un prezzo che rende antieconomico pensare di ubriacarsi, le nostre birre piuttosto sono un’emozione, una sensazione fatta di sapori e profumi.
La solidarietà è anche con le donne iraniane.
Si tratta della birra allo zafferano, Shirin Persia, con la quale collaboriamo con l’associazione Il popolo dello Zafferano che rivende il prodotto delle donne coltivatrici.
Se si ferma a riflettere sul suo passato, cosa pensa?
Che è la storia di una donna pazza che quando è stata in ballo non ha smesso di ballare, anzi si è impegnata ancora di più e oggi è molto soddisfatta.
E se invece pensa al futuro?
In questo momento ho ben chiara l’idea della nuova sede che vorrei abbastanza grande per poter ospitare oltre al birrificio anche un punto di ristoro e di vendita di prodotti trentini. Mi piacerebbe ospitare anche i birrifici che sono lontani, creare anche per loro una realtà trentina che non sia solo la mia. L’ho detto la soluzione che cerco non è tra i privati, ma dalla politica.
Quindi crede nella politica?
Fino a prova contraria. Diciamo che c’è la politica delle parole che è quella che racconta di inclusività, di supporto alle categorie fragili, della valorizzazione dei prodotti locali. Col mio birrificio ho messo in pratica cioè che i politici dicono, vediamo adesso cosa faranno per darmi una mano.
Quante birre produce?
L’impianto è calibrato sui 1400 litri, realizziamo sei tipi di birre a catalogo, poi ci sono quelle stagionali basate sempre sulle eccellenze del territorio. Come lo può essere la birra alla castagna. Abbiamo un impianto a spina nella nuova focacceria Ibris.
Che definizione darebbe al suo birrificio?
Inclusivo. Aperto a tutte le persone che hanno bisogno senza esclusioni. Ma anche coinvolgente. Chi ci fa visita, specie il mercoledì, resta affascinato da una realtà che non mi vergogno a definire unica.