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Chiara Valzolgher, la psicologa che fa la portiera nel Calcio Trento

La storia della ragazza che non ha rinunciato al proprio sogno: fare dello sport un mestiere senza abbandonare l’impegno all’università


Mauro Marcantoni


TRENTO. Qualche anno fa sui muri di Trento campeggiava la pubblicità di un noto punto vendita locale, nel quale si invitava a pensare ai regali per «piccole calciatrici e piccoli ballerini». Lo slogan giocava sull’inversione di quello che ancor oggi, sempre meno per fortuna, continua a resistere come uno stereotipo duro da sradicare. Uno stereotipo con cui ha dovuto fari i conti anche la piccola Chiara Valzolgher, come molte altre sue coetanee, quando comunicò ai suoi genitori l’intenzione di diventare una calciatrice, anzi una portiera.

«Sulle prime mi dissero che non lo trovavano adatto a una bambina, che avrebbero preferito altri sport» ricorda. Diffidenza durata poco, per sua fortuna. Chiara venne iscritta nella squadra del proprio sobborgo, il Villazzano calcio, oggi «Vipo» dopo l’unione con Povo. Fu l’inizio di una bella carriera sportiva, approdata poi in serie A e fra i pali della nazionale femminile. Dal 2008 venne convocata alle selezioni per le giovanili della nazionale di calcio femminile italiana seguendo la trafila delle varie selezioni per età passando dalla Under17 alla Under19 ed infine alla Under20. Nel giugno 2012 il coordinatore delle squadre nazionali giovanili femminili Corrado Corradini la chiamò nella formazione Under20 che si avviava a giocare la fase a gironi del Mondiale del Giappone 2012.

Oggi Chiara Valzolgher ha trentuno anni - compiuti l’8 gennaio scorso - e ancora divide la sua vita fra i campi da calcio e gli impegni professionali: laureata in psicologia (triennale alla Bicocca di Milano e biennio di Neuroscienze a Rovereto), con un dottorato fra il Cimec di Trento e l’Università di Lione, oggi è impegnata nel lungo e complesso percorso di inserimento professionale all’interno dell’Università di Trento. «Potrei fare la psicologa - racconta - ma per ora preferisco continuare la mia attività di ricerca nell’ambito della sordità, in particolare sulla percezione acustica e la capacità di localizzare le fonti sonore, che è un ambito ancora poco esplorato negli studi sui disturbi acustici».

Il suo interesse è rivolto soprattutto alle esperienze sensoriali dei soggetti affetti da sordità, soprattutto anziani. «Con i nostri studi vorremmo aiutarli a rendersi conto essi stessi delle loro capacità: è quello che noi ricercatori chiamiamo meta-cognizione. Studi che le hanno fruttato anche, recentemente, un riconoscimento significativo: il Premio Trentino per la Ricerca, assegnato dalla Provincia Autonoma a lei e ad altri otto giovani ricercatori trentini. Il calcio e la ricerca sono le due grandi passioni della sua vita. «A entrambe però sono arrivata gradualmente» spiega. «Da piccola non ero la classica bambina che cullava un sogno e che poi ha fatto di tutto per realizzarlo. Ho provato, ci ho messo il naso, ho sperimentato».

Una vita sicuramente intensa. Per anni, dai tempi della quarta elementare in su, ha alternato allo studio ore e ore di allenamento. Come accade per tutte le ragazzine che praticano questo sport, fino all’ingresso alle scuole superiori ha giocato con i maschi, poi è passata nelle file del Trento calcio femminile, squadra che era riuscita ad approdare anche alla serie A. Dopo il fallimento della società (un evento piuttosto frequente a questi livelli), Chiara Valzolgher è stata tesserata nel Südtirol, sempre come portiere. Anni di alternanza fra la serie maggiore e alcune retrocessioni, fino al ritorno a Trento nel Clarentia, oggi Trento Calcio Femminile. Non sono stati anni agevoli, ma Chiara li ha sempre affrontati con molto entusiasmo. «Nel Südtirol, con cui ho giocato anche mentre frequentavo l’Università a Milano, per agevolarci nei trasferimenti la società ci aveva messo a disposizione un pullmino, lo guidava una di noi».

Ancor oggi che milita in serie B nel Trento Calcio Femminile dedica al calcio cinque impegni settimanali, compresa la partita domenicale. Con le trasferte, quando non si gioca in casa al Briamasco, che la portano praticamente in tutta Italia. «Io non l’ho mai immaginato come mestiere. Da ragazza non sapevo nemmeno che esistesse una Nazionale femminile di calcio. E i nostri idoli erano calciatori uomini, non avevamo figure femminili a cui ispirarci» confessa. «Oggi la situazione è decisamente cambiata. C’è un passaggio storico che gradualmente porterà anche squadre come la nostra nel professionismo: la serie A di oggi è molto diversa anche solo rispetto ad alcuni anni fa, dopo l’entrata di squadre blasonate. Ma io continuo a mantenere lo spirito iniziale, l’entusiasmo di una ragazzina a cui importava solo di giocare e divertirsi, non inseguire le vittorie e i risultati a tutti i costi. Uno spirito che adesso, allenando le giovani portiere under 12 e under 15, cerco di trasmettere loro. Anche per fronteggiare al meglio gli eventuali fallimenti». Chiara Valzolgher non vede in modo negativo il passaggio del calcio femminile al professionismo.

«È inevitabile, ormai la direzione è segnata. L’importante è evitare di assumere alcuni tratti negativi, come l’iper selezione, l’esasperazione della prestazione agonistica. Sono convinta che il calcio possa essere importante per arginare l’abbandono dello sport da parte delle ragazze». Se oggi il calcio non è più visto solo come uno sport da maschiacci, inevitabilmente però certe resistenze culturali permangono. «Diciamo che noi donne, praticando discipline tradizionalmente viste come maschili, dobbiamo sempre dimostrare che è possibile, difendere e legittimare la nostra scelta. Il confronto con i maschi lo viviamo quotidianamente, ed è una sfida in più. E fra noi si forma un forte senso di comunità».

Alla psicologa Valzolgher, ancor prima che alla calciatrice, viene spontaneo chiedere quanto conti la mente nella sua disciplina. «Per un portiere conta moltissimo, forse anche di più che per altri ruoli. Se sbagliamo, siamo determinanti per il risultato della partita. Serve molta preparazione psicologica. Dobbiamo allenarci a farci trovare pronte quando siamo chiamate in causa e saper prendere decisioni anche nell’arco di poche frazioni di secondo. È un impegno complesso: io dico sempre che quello del portiere è uno sport dentro lo sport». Forse anche plasmata dall’attitudine professionale al lavoro di squadra nei team di ricercatori dove lavora dentro l’Università, Chiara Valzolgher afferma di non sentirsi una leader. La fascia di capitano che porta al braccio quando scende in campo fa di lei un esempio più nei fatti che a parole. «Non so nemmeno se sono la persona adatta a fare il capitano: sono forse troppo buona, mi arrabbio poco». Mentre parla, un po’ sorride di sé. E forse ricordando la sua specializzazione in psicologia, confessa: «I discorsi motivazionali non fanno per me. Spero di essere un esempio con le mie azioni».













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