Sport e sociale

Le storie e i volti dei "veri stranieri" dell'Aquila Basket

Ventotto richiedenti asilo come Alpha, che in Guinea ha perso tutto, si allenano due volte a settimana


di Maurizio Di Giangiacomo


TRENTO. Ce ne fossero di più, d’iniziative virtuose come quella dell’Aquila Basket, forse mercoledì non avremmo assistito alla protesta della Residenza Fersina. I ragazzi che hanno alzato la voce per reclamare un futuro hanno storie terribili come quella di Alpha, 30enne richiedente asilo della Guinea Conakry, da 5 mesi in Italia dopo essere fuggito dal suo paese, dove contrasti di natura etnico-politica gli ha portato via padre, madre e fratello. «Il mio paese, adesso, è l’Italia – dice – Trento mi piace, voglio imparare la vostra lingua, trovare un lavoro. E giocare a pallacanestro».

I richiedenti asilo che si allenano con l'Aquila Basket

In palestra al "Pozzo" con i 28 profughi anche l'assistant coach della prima squadra Cavazzana (foto Daniele Panato)

Un sogno a spicchi che l’Aquila Basket ha, almeno parzialmente, trasformato in realtà grazie al progetto One Team, che già l’anno scorso – sulla spinta dell’Eurocup – aveva portato la società bianconera, in collaborazione con Atas, Centro Astalli e Cinformi, a riunire in palestra un gruppo di richiedenti asilo: per giocare, socializzare, parlare l’italiano. Insomma, vivere. A ben vedere, è la prima esigenza di questi ragazzi. Progetto riproposto dall’Aquila Basket quest’anno: da dicembre sono 28 i profughi di età compresa tra i 18 ed i 30 anni provenienti da Guinea, Nigeria, Ghana, Mali, Senegal, Gambia, Costa d’Avorio, Afghanistan e Pakistan, tutti alloggiati presso la residenze Fersina e Brennero, che si ritrovano al “Da Vinci” e al “Pozzo” per due allenamenti settimanali agli ordini di Moussa Dia, tecnico bianconero del minibasket, con l’assistant coach della Dolomiti Energia Vincenzo Cavazzana special guest ogni 15 giorni.

«Abbiamo ottenuto l’approvazione e i finanziamenti dell’Unione Europea prendendo parte ad un bando – spiega Stefano Trainotti che, in seno all’Aquila Basket, è l’uomo delle iniziative no profit – L’Università di Trento sta invece studiando la nostra iniziativa per valutarne l’impatto in termini d’integrazione dei richiedenti asilo, che sono stati sottoposti ad un test d’ingresso e verranno “intervistati” anche alla fine del ciclo di allenamenti».

Noi non abbiamo dubbi che il progetto dell’Aquila Basket possa giovare a questi ragazzi sotto il profilo della socializzazione e della qualità della vita. Dopo aver incontrato Alpha, siamo altrettanto convinti che ascoltare storie come la sua farebbe bene anche a tanti populisti di periferia che affollano le aule della politica trentina. Alpha ha 30 anni, nel suo paese ha lavorato e studiato economia, finanza e informatica. È dovuto scappare per non fare la fine del resto della sua famiglia. «L’Italia è il posto dove voglio stare per il resto della mia vita – spiega – Trento va bene per me. Faccio il volontario per la distribuzione dei giornalini, controllo le operazioni con il gps. Sto imparando l’italiano, vado a lezione tutti i giorni dal lunedì al giovedì. Ieri (mercoledì) non ho preso parte alle proteste degli altri ospiti della Residenza Fersina, perché io so cosa fare durante le mie giornate». Anche grazie all’Aquila Basket: «Avevo già giocato a pallacanestro nel mio paese, ma senza allenamenti – aggiunge Alpha – e mi piaceva. Adesso è ancora più bello. Il mio sogno è che un giorno l’Aquila Basket venga a chiedermi di giocare con loro, in Serie A».

Trainotti sorride, sa che quello di Alpha, anche per motivi anagrafici, è un sogno irrealizzabile. Ma se il progetto dei richiedenti asilo “producesse” un giorno anche solo un giocatore di Serie A sarebbe la perfetta “chiusura del cerchio” per la società di piazzetta Lunelli, da sempre impegnata tanto sul fronte professionistico quanto nel sociale. «Non è il motivoo per il quale conduciamo questo progetto – conclude Stefano – ma l’Africa è davvero un serbatoio del basket professionistico. I nostri ragazzi comunque stanno migliorando».

Giocano, vivono, si divertono. È quello che conta.

Twitter: @mauridigiangiac

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