"Dopato nel '95? Il nostro Pantani era il più forte"
Le testimonianze di Bertolini e Zanolini, che nel '94 corsero con il Pirata alla Carrera Tassoni
TRENTO. È servito un editoriale di Marco Travaglio, sul Fatto Quotidiano, per ricordare ad una stampa sportiva italiana spesso distratta – specie sul tema del doping – che i dati ematici di Marco Pantani avevano alimentato più di un dubbio sulla sua “pulizia” ben prima del 5 giugno del 1999, il giorno maledetto di Madonna di Campiglio, quello dell’esclusione dal Giro d’Italia e dell’inizio della triste fine del campione romagnolo. Ma quale complotto della camorra – ha scritto in pratica Travaglio – Pantani era già dopato nel 1995. Il riferimento è quello alla condanna per frode sportiva inflitta al Pirata nel 2000 per i valori ematici che gli furono riscontrati appunto nel 1995 dopo l’incidente alla Milano-Torino. Pantani fu poi assolto nel 2001 perché nel 1995 doparsi non era reato, ma i dati dell’inchiesta condotta dal pm Raffaele Guariniello restano e dimostrerebbero appunto l’assunzione di Epo. Pantani era alla seconda stagione nella Carrera Tassoni di Davide Boifava, direttore sportivo Giuseppe Martinelli. Squadra nella quale, nel 1994, militavano anche due ciclisti regionali: il bolzanino Cristian Zanolini ed il moriano Alessandro Bertolini.
L’altoatesino, professionista dal 1993 al 1995 ed oggi titolare assieme al fratello Gerry di un avviatissimo negozio - officina, ricorda bene l’anno dell’esplosione del fenomeno Pantani, che nel 1994 vinse a Merano ed all’Aprica e chiuse al secondo posto il Giro d’Italia, per poi salire sul terzo gradino del podio anche al Tour de France. «Da dilettante aveva fatto numeri da autentico fuoriclasse – ricorda Zanolini – In quell’anno andò fortissimo, ma chi può sostenere, oggi, che si dopasse? I suoi exploit sorpresero sicuramente Chiappucci, che venne parzialmente messo in ombra dai successi di Pantani: lui e Marco non andavano certo d’accordo, anzi, non si parlavano proprio per niente». Zanolini non ha nessun dubbio sulla classe cristallina di Pantani e smentisce anche la tesi che vuole lo sfortunato campione romagnolo introverso e vizioso. «Con lui, allora, si rideva e si scherzava – racconta ancora il 46enne bolzanino – forse lo sarà diventato dopo la delusione di Madonna di Campiglio: quello che ho conosciuto io è il ragazzo simpatico e semplice che al Giro del Messico mi ha voluto in camera con lui». E le donne, la discoteca, la cocaina? «A lui piacevano le belle donne, questo è fuori discussione – conclude Zanolini – D’inverno, quando gli impegni glielo permettevano, gli piaceva andare in discoteca, ma vi posso garantire che quando si allenava lo faceva con la massima serietà».
Ancora più netto il giudizio di Alessandro Bertolini, che – dopo aver corso con la maglia della Carrera Tassoni al fianco di Pantani nel 1994 e nel 1995 – ha gareggiato per altri quindici anni, cogliendo la sua vittoria più bella nel 2010 a Cesena. «Quel successo l’ho dedicato proprio a Marco – racconta il morino, oggi direttore sportivo della Zalf – So che sul conto di Pantani ne stanno uscendo di tutti i colori, faccio quasi fatica a parlarne perché mi sembra che voi giornalisti riempiate pagine di cose che molto spesso non sono nemmeno vero, solo perché il nome di Pantani fa audience... Io non lo so se Pantani allora si dopasse, l’unica cosa di cui sono certo è che Marco è sempre stato un campione. Certo, il suo arrivo alla Carrera Tassoni provocò un piccolo terremoto, per il semplice motivo che due galli in un pollaio non ci possono stare». Nemmeno Bertolini dà credito a chi parla di un campione “maledetto”, vittima dei suoi vizi. «Certo, era un romangnolo e quando non doveva correre si concedeva i piaceri della vita, ma quando correva non ce n’era per nessuno. Sulla sua fine io ho le mie idee, ma non credo di avere la competenza per parlarne – conclude Bertolini – Io lo rispetto per il campione che era, il resto non lo voglio nemmeno sapere. Sinceramente sono stufo di vedere gente che rivanga queste storie: smettetela, fatelo per l’uomo Marco Pantani e la sua famiglia».
Ovviamente è questione di punti di vista. Noi, ad esempio, siamo convinti che il rispetto per il povero Marco Pantani e la sua famiglia si possa dimostrare proprio inseguendo la verità.