Trento Frutta, sfuma il maxi-risarcimento  

Dopo 12 anni la Cassazione mette la parola fine alla causa civile con l’Azienda sanitaria



TRENTO. Non è stata colpa delle analisi dell’Azienda sanitaria se Trento Frutta ha perso una grossa commessa. Così ha deciso la corte di Cassazione che ha messo la parola fine alla querelle giudiziaria che vedeva Trento Frutta con l’Apss in una causa civile. Ci sono voluti 12 anni per farlo. 12 anni durante i quali ci sono state tre sentenze: la prima aveva dato ragione all’azienda di via Degasperi che, a fronte di una richiesta di risarcimento da 2 milioni di euro, se ne era visto riconosciuto uno. Poi l’appello ha ribaltato le carte. Aveva accolto (parzialmente) il ricorso presentato dall’Azienda sanitaria riconoscendo come risarcimento solo 3.382,04 euro oltre rivalutazione ed interessi. Una cifra che corrispondeva alle spese vive che erano state sostenute da Trento Frutta. Ora la Cassazione che ha rigettato il ricorso di Trento Frutta. Ma facciamo un passo indietro di 12 anni per ricostruire quanto successo. È il 4 agosto del 2005 quando i funzionari dell'Azienda sanitaria effettuano alla Trento Frutta il prelievo di un campione di omogeneizzato alla frutta. Quasi un mese e mezzo più tardi per Trento Frutta arriva la doccia fredda: le analisi di laboratorio hanno evidenziato la presenza di una concentrazione di patulina superiore ai limiti consentiti. Si tratta di una tossina che si può sviluppare nei funghi ma la cui presenza è stata accertata anche in frutti come la mela, l'uva o la pera. Di fronte all'esito delle analisi l'Azienda aveva intimato a Trento Frutta di bloccare la lavorazione e ritirare l'omogeneizzato. In novembre il laboratorio di analisi dell'Istituto superiore di sanità di Roma procede all'analisi di un campione di pera Trento Frutta, riscontrando - con grande sorpresa - che il prodotto era conforme alla legge e addirittura privo di patulina. Un sospiro di sollievo per l'azienda che - però - nel frattempo aveva perso la commessa con una società olandese che aveva dichiarato la volontà di recedere dal contratto. Da qui la decisione da parte di Trento Frutta di chiedere i danni (causa civile) all’Apss. L’azienda sosteneva - si legge nell’ordinanza della Cassazione - «di avere subito ingenti danni e, in particolare, la perdita di un importante cliente (Numico Trading, già Mellin) che aveva deciso di recedere dal contratto. E erano risultati compromessi la produzione, con necessità licenziare alcuni dipendenti (con i relativi costi), e il fatturato; inoltre, per ovviare all'erronea analisi effettuata da Apss e per tranquillizzare la clientela, aveva dovuto affrontare significativi costi (spese di trasferta, esami di laboratorio, personale); infine, lamentava la lesione della propria reputazione commerciale». Messo tutto assieme, un conto da 2 milioni di euro. Come detto in primo grado c’era stata la condanna dell’Azienda sanitaria a pagare un risarcimento di circa un milione di euro. Giudizio ribaltato in appello. In particolare i giudici del secondo grado avevano escluso «il collegamento causale tra la condotta dell’Apss e il recesso anticipato della cliente olandese, ponendo a fondamento della propria decisione la comunicazione trasmessa da quest'ultima in data 20 dicembre 2005, con cui si anticipava lo scioglimento dal contratto in ragione del cambio sostanziale dell'azionariato Mellin». Insomma per i giudici la commessa sarebbe venuta meno per una decisione imprenditoriale della società olandese e non per i primi risultati delle analisi effettuate dall’azienda sanitaria trentina. Una decisione che è stata confermata dalla Cassazione che ha rigettato il ricorso di Trento Frutta. Il risarcimento resta fermo a poco più di 3 mila euro (più interessi).













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