il rappresentante sindacale in cassa integrazione 

«Rotto il patto tra noi dipendenti e l’azienda» 

Ivo Berengan: «Non neghiamo la riorganizzazione ma va condivisa, non come ricatto»  


di Sandra Mattei


TRENTO. Ha lavorato nel Sait come compratore (oggi si preferisce il termine buyer) per vent’anni. Ivo Berengan è stato il responsabile del settore vino e liquori, una figura chiave dell’ufficio commerciale ed ora si trova in cassaintegrazione, in attesa di sapere se sarà tra i 116 licenziati. Ivo Berengan è anche nella Rsa per la Filcams Cgil per fare la sua parte nella dura trattativa sugli esuberi.

«Mi sono detto - ragiona Berengan - che non potevo tirarmi indietro. Io in fondo sono tra quelli privilegiati, ho 63 anni e sono vicino alla pensione. So che sono nel mirino perché per anni ho criticato questa dirigenza. Ma non posso accettare che per gli errori dei vertici paghino i più deboli. E quello che chiedeva l’azienda è proprio avere carta bianca sui licenziamenti, anteponendo ai criteri previsti per legge dell’anzianità e dei carichi familiari, la produttività e lo spirito d’iniziativa. Quello stesso spirito che hanno soffocato in questi anni».

Vuole raccontare prima di tutto come è arrivato al Sait?

Mi sono formato sul settore dei vini, prima aprendo un ristorante, il “Pilota” di Pergine, che negli anni Ottanta ha avuto un buon successo e poi lavorando in un’azienda specializzata in compravendita di vini. Nel ’97 sono stato assunto al Sait e i primi dieci anni sono stati entusiasmanti. Lavorare nella cooperazione è la situazione ideale, perché ti dà degli spazi e delle responsabilità che è difficile avere in un’azienda sotto padrone. Peccato che questo patto di collaborazione si sia incrinato.

Che cosa non ha funzionato secondo lei nella gestione dell’azienda?

La natura di fondo di un’azienda cooperativa è quella della partecipazione, sia dei lavoratori sia dei soci che sono dei veri e propri azionisti, che partecipano alle assemblee e che collettivamente costruiscono la propria attività ed il proprio futuro. Questo grande spazio di libertà se viene gestito in modo consapevole dà dei risultati straordinari e degli spazi di lavoro unici, perché la collaborazione ti dà il senso della partecipazione attiva. Se questi spazi vengono usati male o in modo opportunistico, demoliscono il capitale costruito nel tempo.

Che errori sono da imputare ai vertici del Sait?

Le derive nascono dalle responsabilità diffuse della classe dirigente e della classe politica. L’abitudine ad essere sostenuti dall’ente pubblico anziché rinforzarti diventa alibi dietro il quale si nascondono le proprie inefficienze. In più si determinano delle dinamiche di obbedienza, si ricorre alle raccomandazioni.

Non c’è nessuna responsabilità secondo lei da parte dei lavoratori?

Io non dico che non ci siano stati dipendenti che abbiano tirato a campare o opportunisti. Nessuno dei lavoratori, compresi quelli in cassa integrazione, nega che ci sia una quota di esuberi e nega che è necessaria una riorganizzazione, ma il problema è che non la si può fare pagare ai dipendenti. Chi ha diretto il Sait in questi ultimi anni avrà una responsabilità?

Quali possono essere le soluzioni per superare questa situazione di difficoltà?

È necessario un nuovo patto tra l’azienda ed i lavoratori che in questi tempi è venuto a mancare per una serie di ragioni già dette: le raccomandazioni, un basso profilo manageriale, scarse competenze commerciali. All’azienda ho detto che si possono accettare gli esuberi e anche la variazione sulle percentuali dei criteri di legge, ma la produttività non può non incrociare la qualità. Io non ho visto la ristrutturazione dei processi di lavoro e l’impatto che hanno avuto le scelte dirigenziali non può essere messo sullo stesso piano di un magazziniere che non fa il suo dovere. Non possiamo accettare condizioni aprioristiche, perché si può anche accettare che il criterio della produttività pesi di più, ma solo se è condivisa dai lavoratori e dall’azienda in un tempo di pace. Il patto sociale ha un senso se libera l’energia, ma se viene subito come ricatto se invece le comprime.













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