Non è abusivo il chiosco a Passo Pordoi
Dopo 30 anni di battaglie legali il Consiglio di Stato dà ragione a Giacinto Filippi e torto al comune di Canazei. Il contenzioso era nato doipo lo spostamento del confine tra provincia di Trento e di Belluno
PASSO PORDOI. Dopo trent’anni di ricorsi e carte bollate Giacinto Filippin, commerciante di Livinallongo, ha vinto la sua battaglia legale contro il comune di Canazei per la questione dei confini sul Passo Pordoi, dove sorge il suo chiosco. Il Consiglio di Stato gli ha dato ragione: la struttura non è abusiva anche se negli anni in quell’area sono stati cambiati i confini tra il comune di Livinallongo, la Provincia di Belluno e la Regione Veneto con il comune di Canazei, la Provincia di Trento e la Regione Trentino - Südtirol. “Non chiederò i danni anche se per questa storia mia moglie si è ammalata”, commenta il protagonista della kafkiana vicenda burocratica che lo ha visto protagonista suo malgardo.
Filippin, classe 1937, originario della valle del Vajont, aveva cominciato già da giovane l’attività di commerciante ambulante insieme al padre girovagando con un furgone tra le province di Belluno, Trento e Bolzano. Nel 1959, reputando più redditizzio stabilirsi in cima al passo Pordoi, Filippin chiede in affitto al valico un pezzo di terreno di proprietà, stando alle carte di allora, del comune di Livinallongo. Lavorare fuori da un furgone e sotto un telone a 2239 metri non è però così confortevole e così nel 1964 decide di issare alcuni pali per sorreggere un provvisorio tetto in lamiera, anche perché, spiega, “a quel tempo non c’era bisogno di tante autorizzazioni.”
Nel 1975, considerato che gli affari andavano bene, Filippin decide di comprare quel fazzoletto di terreno di 155 metri quadrati dove ormai aveva creato un vero e proprio chiosco, permutandolo con un altro di sua proprietà ad Arabba di 7 mila 600 metri. Una sproporzione evidente, visto che qualche anno dopo quell’area sarebbe diventata edificabile e vi sarebbero sorti il Centro Valanghe ed alcuni condomini, “ma in questo modo - spiega - mi assicuravo la possibilità di proseguire la mia attività”.
Tutto fila liscio fino al 1986, quando il Ministero delle Finanze avvia una revisione del confine sul passo Pordoi. Confine che viene spostato d’ufficio togliendo alcuni metri al comune di Livinallongo. Così facendo il terreno ed il chiosco di Filippin si ritrovano di punto in bianco nel comune di Canazei ed in Provincia di Trento. La questione dei confini in realtà, era già stata affrontata nel 1942. Le due province erano arrivate ad un accordo che però non è stato registrato in tutti gli uffici competenti. E così la questione è rimasta in un limbo che permane, per certi versi, ancora al giorno d’oggi.
Incredibilmente di queste modifiche ai confini a Filippin non viene comunicato nulla. Anzi, il comune di Livinallongo gli rinnova pure la concessione per l’attività di commerciante e gli rilascia il permesso di ristrutturare il chiosco, che nel frattempo aveva ottenuto tanto di numero civico.
Filippin comincia a capire quale tegola gli sia caduta sulla testa solo un anno dopo, quando i vigili urbani del comune di Canazei cominciano ad elevargli contravvenzioni su contravvenzioni in quanto, dal loro punto di vista, esercita la professione di ambulante senza le regolari licenze. Quelle rilasciate da Livinallongo, ora che il chiosco è “trentino”, non valgono più. Parte il ricorso al Pretore di Cavalese e poi alla camera di commercio di Trento: entrambi danno ragione al commerciante e le multe vengono annullate. Passano 9 anni e nel 1996 il comune di Canazei torna all’attacco contestando a Filippin l’irregolarità dal punto di vista urbanistico del chiosco. Per il comune fassano è abusivo e va demolito.
Il provvedimento viene impugnato al Tar di Trento che però nel 2000 respinge. “Nella sentenza – racconta Filippin – i giudici scrivevano che l’errore nelle mappe catastali era “una grossolana falsificazione” e che l’amministrazione di Livinallongo non poteva essere ingannata da questo atto. Parole che mi fecero capire di essere caduto, mio malgrado, in un gioco più grande di me”.
Inizia così una lunga battaglia legale fino al Consiglio di Stato, che però non concede la sospensiva. Per avere una risposta definitiva bisognerà attendere la sentenza. Il 6 marzo 2002, dopo che Filippin si era opposto alla demolizione del chiosco, il comune di Canazei lo incamera insieme al terreno su cui sorge. Già il giorno seguente lo sfortunato commerciante si oppone al provvedimento con un ricorso straordinario al Presidente della Repubblica. Ma nel frattempo si vede costretto anche a chiudere l’attività in quanto il chiosco non è più di sua proprietà.
Dopo tante bastonate tra capo e collo nel 2008 arriva la prima buona notizia. Il Presidente della Repubblica accoglie il ricorso: il terreno ed il chiosco tornano di proprietà di Filippin. Ma resta in piedi il ricorso al Consiglio di Stato che si risolve nel 2014, dopo quasi 30 anni dall’inizio della vicenda legale.
I supremi giudici decretano che il chiosco non è abusivo, anche se sono stati spostati i confini. “Questa è la conferma che tutto ciò che mi veniva contestato era falso, commenta Filippin senza tanta voglia di cantare vittoria ora che si è finalmente conclusa una vicenda che gli ha lasciato l’amaro in bocca e lo ha segnato nel fisico. E non solo lui. “Oltre al danno economico c’è quello personale. Per questa storia mia moglie si è ammalata e ne porta le conseguenze ancora oggi. Chi paga?” Ha intenzione di chiedere i danni al comune di Canazei? “No, penso di no”.
In questi anni ci sono state diverse proteste per via dello stato di abbandono e di degrado in cui versa il suo chiosco in cima al Pordoi e l’altra struttura che ha eretto nel frattempo poco lontano. Cosa risponde? “Che non dipende da me. Dal 2002 io non ero più proprietario di quel chiosco. Lo volevo ristrutturare, ma non potevo. Così mi sono trasferito poco più in là. Anche lì però è tutto provvisorio. Tutto questo non l’ho voluto io”. Ora che lo Stato le ha dato ragione, cosa pensa di fare? “Vorrei ristrutturare il chiosco, togliere le baracche provvisorie e riaprire l’attività”.