"Migranti, il Trentino ne accolga mille all'anno"
Canestrini (Centro Astalli): "Per i richiedenti asilo la concentrazione di tante persone negli stessi centri causa situazioni di tensione e degrado"
TRENTO. «Per i migranti era meglio prima, quando in Provincia governava il centrosinistra autonomista, quello a guida Ugo Rossi». Parole di Stefano Canestrini, a capo del Centro Astalli, una delle punte di diamante del “sistema accoglienza” in Trentino. Astalli è il Servizio dei Gesuiti per i rifugiati (un'opera dei Gesuiti con articolazione laica, 10 sedi in Italia, 150 nel mondo). Era meglio prima, dice Canestrini, che però non ha nessuna voglia di innescare polemiche col centrodestra di governo (a Roma e a anche nella Provincia autonoma). "Non è una questione di destra o di sinistra. È una questione di dati, di numeri. La questione dei richiedenti asilo è come quella dell’ambiente in pericolo: non ci sono soluzioni di destra o sinistra, ci sono soluzioni».
E allora andiamo sui numeri. In Trentino quanti sono i richiedenti asilo che non hanno un tetto sotto cui dormire?
«Spannometricamente parliamo di circa 150 persone. Questo non vuol dire che sono in 150 a dormire fuori al freddo. Una parte di loro ha chiesto ospitalità da amici, anche fuori provincia. Una parte si arrangia in qualche modo a Trento e Rovereto e poi altri sono fuori».
Ci sono i richiedenti asilo e ci sono i senza fissa dimora tout court.
«So che nelle varie strutture dedicate i posti (234) sono tutti occupati. Di questi pochissimi sono fuori».
Invece, per quanto riguarda i richiedenti asilo (perlopiù pachistani o afghani) la Provincia ha garantito 100 posti in più, per l’emergenza freddo, alla Residenza Fersina. Si è arrivati a quota 700.
«Su questo è bene fare chiarezza. In Italia nel 2022 sono entrate circa 100.000 persone. Sul sito del Ministero dell’Interno ci sono le indicazioni sulle percentuali di distribuzione. La Lombardia ha una capacità pari all’11%. Il Trentino avrebbe una capacità di accoglienza pari all’1%, quindi diciamo un migliaio di persone all’anno. Qui invece siamo a quota 700 (in assoluto, non all’anno) e lo descriviamo come un grande sforzo».
La Provincia autonoma di Trento potrebbe fare di più, dunque. Non è una questione di vincoli statali?
«La Provincia, in collaborazione col Commissariato del Governo, gestisce i richiedenti asilo. È una questione numerica e anche di qualità. Si può fare molto di più».
Come?
«Prima il Trentino aveva messo a disposizione 1600 posti ma più di 800 erano fuori dagli abitati di Trento e Rovereto. Erano distribuiti nelle valli, in appartamenti privati, in spazi alternativi. Prima il modello prevedeva che i centri di accoglienza di Marco di Rovereto e della Residenza Fersina di Trento fossero gli hub accoglienza, cioè i punti di partenza per la distribuzione di queste persone sul territorio. Oggi invece sono centri permanenti, con persone tutte concentrate, con i disagi e con l’impatto che ne conseguono».
Lei sta dicendo che l’attuale giunta provinciale sta sbagliando, che si dovrebbe tornare indietro. Però è Roma a dettare la linea, che vincola.
«Se si vuole si può agire. Già con la Lamorgese al Ministero dell’Interno è stata ripristinata l’accoglienza diffusa».
I problemi non c’erano col centro sinistra al governo del Trentino?
«I problemi ci sono e ci saranno sempre, perché il flusso non si ferma. Non saremo noi a cambiare i flussi e le politiche europee in materia di migrazione. Noi però possiamo fare la nostra parte affinché tutto questo non si trasformi in una bomba sociale. Lei mi chiede se le cose andavano meglio con i governi di centrosinistra, con Borgonovo Re e poi Zeni alle politiche sociali. La risposta è sì, ma non per una questione ideologica, di appartenenza politica. Io dico che all’epoca non ci capitò mai di avere più di 300 persone fuori dalle strutture, in attesa di risposta. Questa concentrazione di migranti in pochi posti, tipo caserma, e questo continuo rifiuto di queste persone innesca situazioni di tensione e di degrado che alla lunga diventano un danno per la comunità trentina».
Qualcuno potrebbe replicare dicendo che è meglio averne 700 che 1600.
«Ma i dati ci dicono che i flussi (penso in particolare alla rotta balcanica) non si fermano. Tutto dipende da che tipo di società vogliamo. Tanti - abbiamo visto - restano fuori . Ma, per quanto riguarda gli spazi messi a disposizione, pensiamo forse che vada bene concentrare tutti i migranti in una struttura? O forse - dico io - non sarebbe meglio immaginarli integrati, presenti in appartamenti “spalmati” in varie aree, anche periferiche, del territorio. Pensiamo che mettere tutti a Trento e Rovereto sia la soluzione?»
Torniamo al discorso della distribuzione.
«Sì. E torniamo a parlare delle percentuali regione per regione, In Lombardia la distribuzione dei richiedenti asilo è su tutto il territorio. Mica li mettono tutti a Milano, altrimenti sarebbe una vera e propria bomba sociale. Lo vediamo bene con la concentrazione di queste persone a Trento e Rovereto. A livello di servizi e strutture i due Comuni non sono in grado di rispondere a tutte le esigenze. Per questo, a mio avviso, si deve tornare indietro e pensare ad una redistribuzione».
Oggi sono tutti concentrati nelle città?
«Ad onor del vero no, perché - ricordiamo - è ancora in piedi il progetto “Una comunità intera”. Noi di Astalli con l'Arcidiocesi eravamo andati da Fugatti e avevamo ottenuto che la Provincia mantenesse la presenza dei migranti in spazi nelle valli (canoniche e appartamenti, per cui 250 persone - di quelle famose 700 - sono distribuite sul territorio)».
Il Comune di Trento, che non ha competenza in materia, dovrebbe fare qualcosa?
«Va dato merito al Comune di aver coinvolto Astalli nella gestione del dormitorio alle Bellesini (24 posti che si sommano ai 16 di Casa S.Francesco). Ciò che si può fare è andare a battere i pugni in Povincia per chiedere un intervento sui servizi sociali»..