Le collane creative di Sandra Toldo «Nascono dal relax»
Antiquaria e arredatrice, ha una bottega «delle meraviglie» «Il made in Italy si è perso. Troppe copie di copie di copie»
La bottega di Sandra Toldo è come una perla incastonata in quella parte di centro storico, dove ancora ti illudi che la vita possa scorrere al rallentatore. A Trento, in via Santissima Trinità, c’è il suo «Capolinea» e quando entri lasci fuori tutto il resto: pare di entrare in un mondo rovesciato come Alice nel paese delle meraviglie.
Lei, Sandra Toldo, classe 1955, non se ne cura. È il suo mondo. Ci trovi un salotto, tappeti, una cucina, posate che non t’aspetti, oggetti di design, vestiti.
E poi le sue collane. Quelle collane che richiamano mondi lontani, oppure, qualche settimana più tardi, mondi assai vicini. Chissà che cosa trovi. Non lo sa neppure lei, Sandra, perché non ha mai fatto una collana uguale a un’altra. Tutti pezzi unici, singoli, come singolare è l’esistenza di ciascuno di noi. Le collane le realizza di notte, in quella parte di “giornata” in cui entra nella fase di relax. Quella che dà sfogo alla creatività.
E le fa nella sua “Pearl Harbour”.
«È il mio buchetto. È lo sgabuzzino delle scope, un metro e mezzo per due. Avevo tantissime perline, non ci stava più nulla perché ci ho radunato tutti gli scatoloni: mi sono scavata uno spazietto ed è lì che prendo le buste e lavoro. Sì, sto come in una cella, mi sento un po’ cinese - ride - Perché Pearl Harbour? Per me “pearl” sta per perle, “Harbour” è la mia battaglia. Qui finalmente entro nella dimensione del distacco da tutto il resto: più che uno sfogatoio, è lo stanzino dello psicologo».
Sandra Toldo è principalmente arredatrice. Ha anche avuto, con il compagno di una vita Mauro Bonvecchio (morto nel 2013), un negozio a Pergine, ha pure tenuto insieme a lui «Pantagruel», una delle primissime paninoteche di Trento. Ma si è dedicata per lungo tempo all’antiquariato, «attività che, peraltro, non ho mai abbandonato», anche se ora sfodera una “bottega” creativa, che gioca su più piani. «Ed è molto facile, corrisponde ai miei gusti».
Mentre dialoghiamo ecco una cliente. «Buongiorno, prego. Se vuol provarsi i vestiti, faccia con comodo» / «Questo modello ce l’ha della mia taglia?» / «Lo provi. In realtà, ho pezzi unici. Martedì arriva un nuovo stock. Ora non ricordo bene cosa c’è, ma so che mi piaceva».
Torniamo alle collane. Com’è successo? «È accaduto tutto quindici anni fa. Una collega antiquaria m’ha chiamato al telefono. Mi fa: c’è in vendita il magazzino di una bigiotteria di Venezia, ci stai a prenderlo insieme? Non so che fare, ma poi mi butto. E arriva questa mole di roba: centinaia di sacchettini di perle di Murano, plastiche anni Sessanta! Che fare? Mi attrezzo: prendo minuteria metallica per comporre collane e inizio, non so neppure io come. E poi scopro una passione».
E ora le sue collane sono ricercatissime. Ci sono collezioniste che attendono le sue composizioni. Ma scusi, Toldo, ha fatto dei corsi? «No! Sono autodidatta. Guardi, non mi interessa fare bigiotteria, non ho alcuna voglia di fare cose in serie, non ho mai fatto due collane uguali in quindici anni. È l’hobby per scaricare le tensioni, è un linguaggio alternativo, non mi lascio prendere dalla foga produttiva perché non deve diventare un mestiere».
E diventa creativo anche per questo motivo? «Assolutamente sì! Guardi, non ho mai fatto corsi perché sono convinta che ciascuno ha il proprio linguaggio, ha qualcosa che è in sé: si tratta di qualcosa, fra idee e manualità, che fa parte del proprio tesoro, ed è anche un po’ primitivo».
Primitivo. Creatività è riuscire a esprimere ciò che è primitivo in noi? «Io credo che il creativo, a prescindere se sia bravo o no, sia una persona con un disagio: perché col linguaggio corrente non riesce ad esprimere tutto. Creare arredo comporta comunque creatività: dal magma si estrae qualcosa e lo si porta a unità. Avrò fatto una cosa bella? Brutta? Lo vedrò dalle reazioni di chi guarda quell’oggetto, quella creazione».
E così la bottega di Sandra Toldo è un cocktail. «È la mia casa, ci infilo tutta me stessa: ci devo anche passare dieci ore della giornata, è giusto che mi corrisponda».
È il suo rifugio, il bozzolo, il sacrario dove cerca rifugio dopo tanti anni di nomadismo come antiquaria? «È una nuova vita. Con l’antiquariato ero sempre in giro. Facevo 22 fiere l’anno, ogni fine settimana in una città diversa, e poi andavo in Francia (l’art déco è soprattutto Francia, lo sa, no?), andavo a Istanbul; insomma ero sempre in giro, una zingara, con ansie e dogane (dogane dello scorso secolo, mi capisce), quando un giorno, ero a Sant’Ilario d’Enza e ho chiesto al cameriere d’un albergo: scusi, in che fiera sono, di Reggio Emilia o di Parma? E lì ho capito e mi sono detta: fermati!». E così Sandra Toldo si è rituffata in pieno in città, a Trento, prima in via Belenzani, con Minerva, poi qui con Capolinea. «Beh, passare dal “mondo” a Trento, lei capisce bene che è stato uno shock: e capisce anche perché ho dovuto trovarmi subito degli hobby». Perché Sandra non fa solo collane: dipinge e cuce.
Una vita ricca di stimoli e di ripiegamenti. Ora un po’ in difesa? «I miei genitori hanno gestito la pizzeria “La Grotta” in vicolo San Marco per ventisette anni da quando io ne avevo otto. Sa cosa mi diceva mamma quando mi vedeva, mentre io bambina, passavo in mezzo ai tavoli? Mi diceva: vai a passeggio? E così ho imparato a prendere dei tovaglioli o un posacenere comunque e sempre mentre passavo. Mai con le mani in mano. Quindi non mi fermo. Ma, certo, credo che ci sia un tempo per dire stop al lavoro. Non alla creatività».
Quando parla di Francia o di Istanbul le si illuminano gli occhi. Sembra le passino davanti tappeti ed epoche lontane. Nostalgia? Mondi perduti? Che cosa abbiamo perso di quegli anni?
«L’idea di futuro! Ecco che cos’abbiamo perduto! Io nel mio lavoro cercavo cose belle e di arti applicate, pensavo a nuovi clienti, a tenere in vita cose antiche, a conservare per i posteri, guardavamo alle generazioni future: tutti! Ora non c’è niente di tutto ciò». Niente niente? «Ci sono le copie delle copie delle copie. Si consuma per l’immediato: per questo c’è crollo di cultura. Nello spirito nostro italiano che cos’è rimasto?». Vuol dire che non c’è più neppure il made in Italy? «Il made in Italy ormai è una bufala colossale. È solo una scritta. Guardi che cosa fanno gli italiani: vanno solo a cercare le cifre basse, non il made in Italy». È la crisi economica, non le pare? «Forse. La verità però è che è stato sdoganato il kitsch, il kitsch fine a se stesso. C’è chi propone il kitsch e viene accolto come una persona spiritosa. Pensa te che brutta fine...».
Quindi questa bottega è una cellula di resistenza? «Mah. Non ho queste ambizioni. Cerco una nicchia per me. Credo sia fondamentale un piccolo circolo di amici con lo stesso linguaggio: qui possono venire. Faccio anche qualche piccolo aperitivo, si chiacchiera. Questo negozio è un po’ un club». Piccolo mondo antico? «Vede, ho avuto anche momenti duri. Ho dovuto vendere la casa dei miei sogni, in Salento, luogo che adoro perché è una terra che finisce dentro il mare. Io sono nata all’ambasciata del Giappone a Berna, perché mia madre era cuoca lì, ma è stato un puro caso, perché io sto bene al sud del mondo. Quanto mi piace il Mediterraneo, la Tunisia, il mare».
Ecco la creatività che ritorna. Lo sfogo nello stanzino cercando un altro mondo. Lei continua a sognare, cara Sandra.
«Sì, ogni tanto ho dei sogni. Vorrei tanto che mi regalassero un borgo, sa di quelli piccoli nel centro Italia, magari non troppo in saliscendi, ecco: io lo farei tutto rosso e lo chiamerei Borgorosso. Ci porterei gente come me, “disperati” con un laboratorio, delle bottegucce, delle locande. Un luogo in cui lasciar fluire le cose, perché la creatività crea creatività». A Borgorosso ci verrebbe tantissima gente! «Eh certo! E costerebbe poco, basterebbe dipingere tutto di rosso. Guardi che verrebbero in tanti davvero. Perché c’è tantissima gente che ha fame di aggregazione. Ma questa vita caotica toglie il respiro».
Arrivederci Sandra! Usciamo dal paese delle meraviglie. Ma ci torneremo. Inevitabile.
p.mantovan@giornaletrentino.it