La Magnifica Ossessione, la mostra dei dieci anni del Mart

La selezione delle raccolte donate al museo. Un lungo incontro con i protagonisti dell’arte


di Elisabetta Rizzioli


ROVERETO. Il Museo di Arte Moderna e Contemporanea di Trento e Rovereto celebra i suoi primi dieci anni di vita con una mostra che ridisegna la relazione delle sue collezioni con il pubblico, riflette sul proprio patrimonio e intraprende un modo inedito di osservarlo.

Si tratta dell’esposizione delle raccolte che il Mart ha nel tempo presentato in diverse prospettive tematiche e con approfondimenti di nuclei circoscritti.

L’occasione del decennale è quello di costruire un panorama più esteso ed aperto sulla collezione, permettendo al pubblico di esplorarla nella sua integrità ed eterogeneità, secondo un’esperienza inaspettata.

Il gusto orientato dalle ossessioni proprie di ogni collezionista ha infatti talora guidato ed indirizzato la costituzione e la crescita di molte delle raccolte donate o in deposito presso il Mart.

Da questa attitudine nasce “La magnifica ossessione”, una mostra per la quale il Mart si avvale delle proprie professionalità interne, affidandone la curatela ad un vero lavoro di squadra; i curatori ed i conservatori coinvolti sono Nicoletta Boschiero con Veronica Caciolli, Margherita de Pilati, Duccio Dogheria, Daniela Ferrari, Mariarosa Mariech, Paola Pettenella, Alessandra Tiddia, Denis Viva, Federico Zanoner. L’esposizione “La magnifica ossessione” in corso da domani - quando verrà inaugurata- fino al 6 ottobre 2013, (quasi un anno di mostra e di scoperte, dunque) occupa tutto il secondo piano del museo roveretano e racconta tutte le attività che riguardano le collezioni, la conservazione, il restauro, le relazioni istituzionali e lo studio, rivelando il proprio cuore pulsante, l’essere un organismo attivo e in perenne evoluzione.

Si incontrano pertanto i protagonisti e le opere più significative dell’arte italiana e internazionale: dipinti, sculture, documenti d’archivio, grafica, fotografia, libri, rarità editoriali, manifesti, arte applicata e arredi, con sezioni dedicate sia ai capolavori del Museo, come quelli dell’avanguardia futurista, sia a opere meno note, altrettanto sorprendenti, come quelle appartenenti all’arte italiana degli anni Trenta (Astrattismo, Architettura Razionalista, Mario Sironi, Giorgio De Chirico) o degli anni Sessanta e Settanta (Lucio Fontana, Pop Art, Poesia Visiva).

La mostra ospita lavori pensati e realizzati da artisti contemporanei che intervengono offrendo il loro sguardo alla successione storica delle opere: Paco Cao, Liliana Moro, Emilio Isgrò sono i primi artisti invitati a confrontarsi con questa “magnifica ossessione”. Il percorso si snoda attraverso una scansione cronologica che non va intesa come sequenza di tendenze e di movimenti storicizzati quanto piuttosto come una visione inedita, aperta al tema della ricerca dell’identità stessa di un Museo che si è contraddistinto per la propria dinamicità: si parte dalle opere di Andrea Malfatti e, attraverso l’irredentismo e l’irruzione della modernità, si giunge alla “Trento Ellipse” di Richard Long, realizzata con pietre di porfido trentino.

Le opere si trovano ostense senza gerarchie visive, mischiando le collezioni ed esaltando le differenze tra le categorie, attraverso uno slittamento temporale che vede dialogare i . decenni all’insegna delle “anticipazioni del futuro” offerte dal passato o dell’“archeologia del presente” offerta dalla stessa attualità. Una rievocazione, in un certo senso, dello spirito dei salons ottocenteschi, esposizioni che rappresentavano un diverso modo di osservare le opere d’arte.

“La magnifica ossessione” propone una sensibilità prossima ai criteri del collezionismo e alle condizioni visive della realtà piuttosto che alla presunta neutralità ed asetticità delle sale espositive moderne e contemporanee.

La rassegna espositiva è corredata da un intervento di Emilio Isgrò, il quale “cancella per il Mart il Manifesto del Futurismo”; non si tratta di una mostra, di un evento e neppure di una conferenza, quanto piuttosto di un Corso di cancellazione generale per le scuole d’Italia che dal mese di ottobre 2012 si protrarrà sino al 2013, secondo modalità “corali” che l’artista stabilirà di volta in volta con il direttore e i curatori del museo.

Per la partenza (fissata appunto domani) la partecipazione dell’artista sarà limitata e sfuggente “quasi autocancellatoria” - come lo stesso autore informa, “una specie di ouverture in cui si annunciano i temi senza darne lo svolgimento”. L’opera Cancello il Manifesto del Futurismo, realizzata in dimensione ridotta cancellando la prima pagina de Le Figaro che nel 1909 pubblicava il manifesto di Marinetti, tappezza interamente le pareti della sala in cui appaiono, come ombre di un futuro ancora possibile, la macchina intonarumori di Luigi Russolo ed una serie di immagini fotografiche legate alla mitologia marinettiana.

“Si tratta tuttavia soltanto del prologo”, precisa misterioso Isgrò “perché tra qualche mese, in una data imprecisata e imprecisabile, il Manifesto di Isgrò-Marinetti, potrebbe essere realizzato in grandi dimensioni scendendo trionfalmente per la tromba delle scale del museo, come una di quelle fanciulle arabe che Marinetti adolescente vide esibirsi nella danza del ventre sulle rive del Nilo”. Il Futurismo e le avanguardie storiche come cancellazione sostanziano il discorso tematico di Isgrò, il quale ha il dubbio che negli ultimi anni, “facendo piazza pulita di slanci e utopie anche nell’arte, è stato forse buttato via il bambino con l’acqua sporca”. “Nous voulons effacer. Nous voulons revêr. Noi vogliamo cancellare. Noi vogliamo sognare. Sono queste le sole parole che io faccio emergere dal testo di Marinetti” dice l’artista “come segno forte in direzione di un’utopia ancora concretamente perseguibile da parte dei giovani: la possibilità di crescere in un mondo più umano e pacificato. Paradossalmente ciò che suggerirebbe oggi il bellicoso Marinetti se fosse ancora tra noi. Un Marinetti che probabilmente non invocherebbe più la guerra come sola igiene del mondo. Insomma, un Marinetti più pacifista di Gandhi.

Sta qui la novità della mia proposta rispetto alla lettura che di solito si dà del Futurismo”. “Dubito molto” conclude Isgrò “che Marinetti invocherebbe ancora oggi l’uccisione del Chiaro di Luna: perché il Chiaro di Luna è in pratica sparito grazie ai gas tossici che inquinano l’atmosfera. E lui, figlio della sua epoca ma uomo intelligente come pochi, se ne accorgerebbe per primo, cambiando registro”.













Scuola & Ricerca

In primo piano