«Guarita dal Covid, dimenticata dalla sanità»
La storia. Hassjba Salvadori, 39 anni, è negativa da otto mesi, ma nel corpo porta ancora i segni pesanti della malattia contratta a marzo «Ho problemi respiratori, ho perso i capelli e non ho ancora recuperato l’olfatto. Ma ancora non esiste un percorso per il post-coronavirus»
Trento. «Ho perso quasi tutti i capelli, faccio ancora fatica a respirare, la notte mi sveglio di continuo perché vado in apnea, ho addosso una stanchezza indicibile, l’olfatto non è ancora tornato normale. E in Trentino non esiste un adeguato “follow-up” per i pazienti post-covid, siamo abbandonati». A otto mesi dalla sua guarigione dal Covid-19, l’educatrice di scuola professionale Hassjba Salvadori vive ancora una profonda sofferenza causata dai postumi di questo virus che può essere terribile. Hassjba, 39 anni, nessuna patologia preesistente, porta con orgoglio il suo nome arabo: «Sono italianissima, trentina, mio padre mi chiamò Hassjba perché aveva lavorato per anni nei paesi arabi». Lancia un allarme, quasi una preghiera, rivolta a chi sottovaluta il pericolo di questo virus: «Non è come un’influenza. C’è chi arriva a soffrire di patologie renali, cardiache o neurologiche. Nel mio caso, si ipotizza che si sia verificata una disautonomia del sistema nervoso che ha compromesso l’automatismo del respiro». Quel che è peggio, Hassjba si sente abbandonata dalle istituzioni sanitarie: «Molti ex-pazienti covid sono stati abbandonati a loro stessi. La pandemia passerà, ma ci troveremo con tantissime persone affette da problemi gravi e cronici».
Ci si può domandare come mai davanti a un quadro sintomatico così grave Hassjba non sia stata ricoverata: «Non ho mai avuto febbre, - spiega - E la mancanza di febbre nei primi mesi era sufficiente perché le persone fossero rimandate a casa». Hassjba sottolinea la pressoché totale assenza in Trentino di quella che viene chiamata “fisioterapia respiratoria”, la rieducazione al respiro: «Questo tipo di fisioterapia esiste solo nelle cliniche private - sottolinea - Io sto iniziando un percorso fisioterapistico ad Arco solo perché il primario si è preso a cuore la mia situazione».
Tutto comincia i primi giorni di marzo, prima del lockdown: «Inizio ad avere una gran tosse e a far fatica a respirare. Niente febbre, al massimo 36,8. Mi rivolgo al mio medico di base, mi dice di non preoccuparmi e che comunque senza febbre non si poteva fare nulla». Pochi giorni dopo anche due dei tre figli di Hassjba mostrano sintomi: «Dolori muscolari, febbre a 38, occhi rossi e tosse. Per fortuna loro si sono rimessi rapidamente». Nelle prime settimane nessuno la visita, nessuno la sottopone al tampone, quando chiama i numeri di telefono dedicati all’emergenza le viene intimato di non andare al pronto soccorso. Insomma, le viene detto semplicemente di restare a casa: «Il primo tampone mi è stato fatto due mesi dopo ed era diventato negativo. Ma il test sierologico, preso a pagamento, ha invece confermato: avevo avuto il Covid. Ciò nonostante l’Azienda sanitaria mi ha negato ogni rimborso dei ticket», spiega Hassjba.
Dalle autorità provinciali, contattate da Hassjba per segnalare la sua vicenda, solo silenzio, fino al 22 settembre, quando viene contattata dalla segreteria dell’assessora Segnana: «Ero felice, pensavo che qualcosa si sarebbe mosso, invece niente, loro volevano solo informazioni generiche e sapere quale fosse il mio cognome da nubile».
Ora Hassjba, nonostante la fatica cronica, è tornata a lavorare affiancando il personale docente in una scuola professionale. Si rivolge ai giovani, pregandoli di assumere comportamenti responsabili: «Quando parlo con i ragazzi dico sempre di pensare a me quando dimenticano di mettere la mascherina. Ma non è giusto colpevolizzare i giovani: non sono certo loro a non aver provveduto agli adeguati trasporti pubblici. Mi domando cosa abbia fatto la Provincia in questi mesi».