Rsa trentine sull’orlo del baratro
All’appello mancheranno 70 infermieri, pronti a lasciare le case di riposo per andare a lavorare negli ospedali o negli ambulatori dell'Apss, dove il contratto è migliore
TRENTO. «Mancano infermieri nelle Rsa. Lo diciamo da tempo. La carenza di professionisti sanitari all’interno delle Rsa sta infuocando il periodo estivo». A dirlo sono Luigi Diaspro (Fp Cgil), Giuseppe Pallanch (Cisl Fp) e Andrea Bassetti (Uil Fpl). «Ma rappresenta la dura realtà che da anni “urliamo” alla Provincia, senza però avere risposte responsabili. È urgente in primis attivare un tavolo tecnico urgente con Upipa e Spes per affrontare il problema organizzativo, ormai diventato un disastro». All’appello mancheranno 70 infermieri: 70 professionisti pronti a lasciare le case di riposo per andare a lavorare negli ospedali o negli ambulatori dell'Apss, dove il trattamento contrattuale è migliore. A questo si aggiunge il fatto che diverse Apsp si erano organizzate per preparare i kit dei farmaci per i pazienti con una macchina (è il caso di 5 strutture) o con una convenzione con una farmacia che preparava loro i sacchettini di farmaci per i vari pazienti e la Provincia ha stoppato entrambi i percorsi.
I sindacati notano che la Provincia intende intervenire per risanare i bilanci in perdita delle Apsp. «Non è però la soluzione alla carenza organica a oggi emergenziale, ancora di più in considerazione che gli enti dovrebbero dimostrare di fare cassa sulla voce più consistente di bilancio: il personale. Quale riflessione abbia fatto l’assessorato per intimare alle Apsp la rescissione del contratto con le farmacie, rimane a noi oscura, ma preoccupante, dato che saranno ora gli infermieri che dovranno predisporre i farmaci per la terapia. Sgravare gli operatori di questa incombenza era una risposta anche alle carenze organiche strutturali». Cgil, Cisl e Uil tornano a battere sul tasto dei rinnovi contrattuali «che permettano alle lavoratrici e lavoratori di sentirsi apprezzati e non denigrati economicamente, ancora, revisionando l’ordinamento professionale, con risorse dedicate, nell’esigenza di dare rispondenza d’inserimento nei nuovi inquadramenti, per la professionalità raggiunta, data l’evoluzione dei percorsi formativi degli ultimi 20 anni».
Va giù duro anche Roberto Moser, vicesegretario generale della Fenalt: «Chiedere lungimiranza e capacità di previsione alle strutture provinciali competenti, è stato inutile. L’incapacità gestionale che ha portato a questa situazione - e a quella degli ospedali - è la prova del fallimento inappellabile di questa Giunta nel campo sanitario». E ancora: «È da anni che le nostre proposte per rendere più attrattivo il settore vengono completamente ignorate e bollate come propagandistiche da una politica arrogante. Il problema resta uno solo: quello di dare il giusto riconoscimento ai lavoratori delle case di riposo. È l’unica via per rilanciare il settore ed evitare l’emorragia di personale. Ma siccome il sindacato non è considerato un interlocutore meritevole dalla politica trentina, il nostro interlocutore in questi anni è stato il giudice».
Moser ricorda le cause vinte, e quelle in corso, per migliorare la qualità di vita degli operatori ed evitare che alla prima buona occasione scappino altrove: «In tribunale abbiamo ottenuto il riconoscimento del tempo di vestizione». Ricorda che il sindacato è «in tribunale con quattro/cinque cause all’anno: su disciplinari troppo rigidi o inesistenti, su licenziamenti, su passaggi del personale da tempo pieno a part-time, sul riconoscimento del corretto livello professionale che per gli infermieri e i fisioterapisti dovrebbe essere il D e non il C. E non dimentichiamo poi che gli operatori delle case di riposo non hanno ancora il riconoscimento alla mensa/buoni pasto e che il premio Covid».