La storia

«Siamo tutte di OLTRISARCO»

Alla “Caritativa Santo Stefano” di Bolzano un gruppo di donne combatte l’esclusione sociale e i pregiudizi cucinando insieme. Il pane arabo, i biscotti di Natale e le orecchiette pugliesi. La ricercatrice che arriva dalla Calabria, l'ingegnere di Casablanca, le lavoratrici del Bbt, le ragazze di Durazzo, e Cinzia che vive nel campo Sinti sotto il viadotto A22
 



Bolzano. Siamo tutte di Oltrisarco. Il pane arabo e la pasta fresca. La baklava e gli Spitzbuben. Le orecchiette pugliesi e il pollo alla zingara. Il cous cous, la lasagna e e il tajine. Cucina della Caritativa Santo Stefano. Parrocchia del Santo Rosario, civico 111 di via Claudia Augusta. Si scambiano piatti e ricette. Oggi, ad esempio, si infornano biscotti di Natale e pane arabo. Najia Nassir inizia a impastare e spiega la ricetta del pane variante marocchina: «Poche semplici regole, ma vanno seguite alla perfezione». Farina di semola, zucchero, sale e lievito di birra. «Ma vedi - dice mentre mulina farina e acqua e poi forma tante piccole palline - tutto sta nel tocco della mano. Nel gesto. Che deve essere deciso e dolce allo stesso tempo». Najia ne sa di cucina. Il suo cous -cous è leggendario. A Oltrisarco lo sanno bene: quando c’è l’occasione cucina alle feste del quartiere. Ma il suo capolavoro è il tajine, un piatto di terracotta dove si rosola alla brace manzo o agnello con verdure, mandorle o prugne. I colleghi di suo marito - cresciuti a knödel e spaghetti - fanno la coda per farselo preparare. Fadwa Baztami intanto spiana le palline, fa dei dischi perfetti. «Diametro 12 centimetri precisi», pronti per saltare nel tegame incandescente. Pochi minuti e il pane è pronto, farcito con ogni bendidio. Croccante, delizioso.

Fadwa si è laureata in Ingegneria industriale a Casablanca, ma per avere il riconoscimento del titolo in Italia deve frequentare un master di altri due anni. «Ho iniziato ma poi sono rimasta incinta. Ora devo stare dietro ai bambini, appena avrò tempo, riprenderò». Rodica Sztoika è di origine moldava. Vive in Italia da 12 anni, a Oltrisarco da tre. È ortodossa. «Quindi - ride- festeggio due pasque, due Natali, due capodanni... Nel quartiere la gente è accogliente. L’unica cosa che non funziona è il lavoro. Non riesco a trovarne uno stabile. Alla lunga sfianca. Non ti senti mai al sicuro». Doriana Becerri e Zyra Haslika, sono albanesi di mare, vengono da una cittadina vicina a Durazzo. Oggi insegneranno come si prepara il baklava con miele e mandorle, e il Trilece, un dolce con tre tipi di latte diversi che fa schizzare i trigliceridi sulla Luna. Doriana ha studiato economia all’Università di Tirana. Anche per lei la sfida più grande è il lavoro, un’occupazione dignitosa dopo anni di precariato.

Poi c’è Cinzia Gabrielli, sorella di Radames, il capo dei Sinti di Bolzano. Vive in roulotte nel campo sotto il viadotto A22 in viale Trento. Ha cinque figli, tre femmine e due maschi. «Tre sono ancora da sposare, poi posso mettermi tranquilla» scherza. È una donna molto dolce, timida, con un viso bello e una malinconica vena d’umorismo.

«Nella tradizione Sinti - spiega - uno dei piatti preferiti per le feste era il riccio». Giusto per vedere se hai afferrato, chiarisce il concetto: «Il riccio riccio, intendo. Non quello di cioccolata, meringa e pistacchio che fa Mario (una nota gelateria di Santa Geltrude, ndr). Quello in carne e aculei che ti passa davanti mentre sei nei boschi o ti attraversa la strada di notte. Ma oggi, tranquillo, non si usa più». Be’ Cinzia, kein problem, i miei nonni ai Piani di Bolzano mangiavano rane, passeri e lumache come se non ci fosse un domani. «Ah ecco, allora capisci. Non rinunciamo però alla gallina fatta alla nostra maniera, con patate, paprika e salsa all’aglio, che un gagè come te non avrebbe neanche il coraggio d’assaggiare quanto è forte. E alle frittelle di farina e uova saltate nell’olio bollente che facciamo a Natale».

La famiglia Gabrielli vive in Alto Adige da oltre un secolo. Rifiuta orgogliosamente di chiudersi in un alloggio Ipes «perché a noi piace la libertà, accendere il fuoco sotto le stelle, tenere le galline libere sull’uscio del caravan». Per 30 anni sono stati accampati in via Resia. Poi, l’edificazione di Firmian li ha costretti ad andarsene. È stata allora realizzata dal Comune la micro area accanto al sottopasso. Non è il massimo. Vicino ma anche fuori dal quartiere: i gas di scarico dei tir sulla testa, i treni che ti sfrecciano a un metro... Le polemiche, nel 2006, furono violentissime con il solito carico di razzismo e pregiudizio. I Gabrielli hanno però le spalle larghe. Una parte della famiglia è stata cancellata ad Auschwitz. L’odio - alla fine - ti scivola addosso come una pioggia fastidiosa. Rimbalza su chi ti vuole male. Cinzia oggi non vorrebbe stare da nessun’altra parte. «A Oltrisarco stiamo bene . Nessuno ci dà fastidio».

Merito anche della Caritativa Santo Stefano che porta avanti un lavoro preziosissimo nel quartiere sul fronte dell’inclusione. La loro “Bottega”, ad esempio: un posto protetto dove vengono ridistribuiti generi alimentari e di prima necessità a famiglie che ne hanno bisogno. Un “supermercato” solidale, discreto, dove nessuno giudica nessuno, e nessuno si deve vergognare di dover chiedere una mano. Spiega Anny Marcolla: «La Bottega è stato uno strumento formidabile per entrare in contatto soprattutto con le donne, che spesso per pudore fanno fatica a intrecciare relazioni e amicizie al di fuori della ristretta cerchia familiare». Dalla spesa solidale si è passati al caffè. Dal caffè è nato il Centro d’ascolto, un luogo strutturato dove si aiutano le persone ad affrontare il disagio e l'esclusione sociale. Dal Centro d’ascolto, l’idea di cucinare insieme. Un’iniziativa “ritagliata” solo per le donne, «proprio per far sentire ognuna a proprio agio». Al di là di possibili resistenze religiose o culturali, o semplicemente di una invincibile timidezza. «L’obiettivo - sottolineano Carmen Giuriato e Giudi Dametto- è l’integrazione». L’inclusione dolce che non lascia indietro nessuno. Specialmente se fai fatica o sei nata dalla parte sbagliata del mondo o di una città. Non-escludere-nessuno: un patto nato da ragazze, ai tempi dell’oratorio, quello tra Carmen, Giudi, Anny e le altre volontarie Mariella Cantafio, Cristina Guerrato e Barbara Vogliotti.

Portato avanti passo dopo passo. La cosa funziona perché qui si ritrovano donne di “Oltri” da generazioni e donne arrivate sull’onda delle diverse migrazioni. Non solo dall’Africa, dai Balcani o dall’Est Europa. Prendete Giusi Fiorino: un cervello in fuga dalla Calabria. Ha 31 anni e fa la ricercatrice al Noi Techpark: settore chimica alimentare. Nel super laboratorio hi-tech guidato dal professor Marco Gobbetti, guru mondiale del “Food Microbiology”. «Sono a Bolzano da quattro mesi - racconta - . Mi sposto in continuazione per lavoro. In ogni città dove arrivo cerco la parrocchia più vicina. Mi presento e do la mia disponibilità». La più vicina era questa. E siccome il Signore vede lungo: era anche quella giusta.

Daniela Pichierri è una bolzanina con le radici a Taranto, da cui si è trasferita ormai 24 anni fa. Non abita a Oltrisarco ma ha eletto il rione a luogo del cuore. In questa cucina multiculturale l’ha portata la marocchina Najia, che ha conosciuto sul lavoro al cantiere del Bbt. Oggi è indaffarata con la pasticceria secca di Natale. Il suo must però sono le orecchiette. È talmente brava che la chiamano in continuazione a tenere laboratori di pasta fresca in quello che, di fatto, ormai è il circuito delle cucine popolari dei quartieri, nato dalle parrocchie e dalle associazioni. Una rete che va da Don Bosco a Oltrisarco, passando per Casanova e Maso della Pieve. Dove il cibo, per dirla con le parole di Anny Marcolla - « è il principe della condivisione. Uno strumento di comunicazione straordinario che permette di abbattere barriere e resistenze. Non c’è niente di più pacifico e sereno di una tavola apparecchiata».

Ricapitolando, qui, intorno a questa “tavola apparecchiata”, oggi ci sono: bolzanine di terza generazione, albanesi, pugliesi, marocchine, moldave, siciliane, Sinti... «STOP, STOP, FRENA- dice Giudi Dametto - non l’hai ancora capito? Qui ci siamo solo noi. E SIAMO TUTTE DI OLTRISARCO!». Gesù Cristo, hai ragione: siamo tutte di Oltrisarco.

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Venerdì 13 dicembre saranno al nostro brindisi di Natale in Piazza Nikoletti (dalle 17.45).

"Siamo tutte di Oltrisarco"

Così il laboratorio di cucina della Caritativa Santo Stefano di Bolzano abbatte il muro dell'esclusione e del pregiudizio. (foto Acero)













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