Pasquale Borsci, una vita nella trincea dell’Antidroga: «È una lotta senza fine»
Per 20 anni capo della Narcotici, è andato in pensione: decine di operazioni, centinaia di arresti, sequestri per milioni di euro. «I giovanissimi oggi fumano eroina e non si rendono conto dei pericoli»
BOLZANO. Venerdì 30 dicembre ha consegnato divisa, tesserino e pistola. Col magone addosso, perché, poliziotto, lo resterà per tutta la vita. La Questura di Bolzano perde un pezzo importante della sua storia recente.
Il primo gennaio è andato in pensione Pasquale Borsci, 60 anni, sostituto commissario, per venti capo dell’Unità Antidroga. Nato in Puglia, a Monteparano, un paesino di duemila anime in provincia di Taranto, ma bolzanino ormai da quarant’anni, da quando, nel 1982, ha frequentato il corso alla Scuola di Polizia di viale Druso.
Un metro e 90, spalle da lottatore. Il viso del sud cotto dal sole. Uno taciturno, abituato ad indagini lunghe e complesse contro un nemico astuto. «Lo spaccio - dice - è un’impresa criminale capace di innovarsi in continuazione. Non si finisce mai di imparare». Lui, in pensione, non voleva andare, ma le regole in polizia non ammettono deroghe. «Lo capisco. Magari, a 60 anni, hai qualche guaio fisico. I riflessi, la pistola, la guida, ma..».
Brucia lo stesso. Borsci è l’enciclopedia vivente del mercato della droga in Alto Adige, e non solo. Le operazioni iniziate qui lo hanno portato in tutta Italia, risalendo i flussi contorti del narcotraffico internazionale. «Anni intensi - racconta - anche duri, senza orari, vissuti con grande passione e una squadra di ragazzi motivati». I “suoi” ragazzi. La Narcotici non è per tutti. È una vocazione. Un lavoro estenuante. Appostamenti, pedinamenti, intercettazioni. Il pesce piccolo, che porta ad uno più grande, e poi a uno ancora più grande. Sapendo che tutto può andare a farsi benedire sul più bello. O che quelli che hai messo dentro oggi, li rivedrai domani di nuovo in giro a piazzare la roba. Delusioni che si alternano a successi. «L’esperienza te la fai con le fregature», dice. Anni di cene saltate, di ferie annullate all’ultimo momento per chiudere un’operazione.
«Mia moglie Patrizia, una santa, non finirò mai abbastanza di ringraziarla, mi ha sopportato e supportato. Ha capito quanto fosse importante per me».
La missione. Borsci sarebbe pronto a ricominciare tutto daccapo. Sotto di lui la Narcotici ha sequestrato quintali di stupefacente per milioni di euro, arrestato centinaia di trafficanti, dal galoppino di strada al boss che faceva arrivare i tir carichi di hashish. La sua storia in polizia inizia a 20 anni, nel 1982, appena finito il servizio militare. Corso allievi a Bolzano, poi al Centro di addestramento Polizia di Stato di Abbasanta, in Sardegna. Due mesi di specializzazione in scorte e sicurezza antiterrorismo. «A quell’epoca c’era ancora Ein Tirol che pestava duro». Un paio di anni alla Digos di Bolzano, poi alla Squadra Mobile già a occuparsi di narcotraffico, una parentesi sulle Volanti a Padova. Dal 2003 a oggi capo dell’Unità specializzata Antidroga della Questura. «Devi masticare amaro, prima di imparare a muoverti in un mondo così complesso. La droga è un’impresa criminale. Come ogni impresa, lo scopo è il profitto». Ergo: usano ogni mezzo possibile per massimizzare il guadagno riducendo i rischi. «Se fai una mossa, stai sicuro che loro hanno già la contromossa. E così avanti, in un gioco delle parti che non finisce mai». Trasporto, acquisto, consumo: il mercato è cambiato in questi vent’anni. «Una volta spaventavano il laccio emostatico, il buco, la siringa. Ora è esploso il consumo di ero e coca da fumo. La mettono sulla carta stagnola, bruciano la sostanza, e inalano i vapori».
Pensando così di non essere dei tossici...
«Già. Un’illusione».
Partiamo dai trafficanti.
«Si son fatti furbi. Usano le tecnologie, organizzano le auto staffetta per proteggere il trasporto. I cani antidroga sono sempre meno efficaci: il corriere non tocca più la sostanza. Viene impacchettata e sigillata con doppi involucri prima della spedizione. Nessuna contaminazione. L’odore viene camuffato con altre essenze che mandano in bambola le unità cinofile».
Quali?
«Varie: polvere di caffè, ad esempio, o il dentifricio al mentolo».
I mega sequestri sulla rotta del Brennero non avvengono per caso...
La maggior parte sono il risultato di una lunga attività di indagine. Non sempre è facile prenderli: utilizzano staffette, cambiano le macchine, depistano, piazzano vedette per monitorare Bolzano sud o Bolzano nord, la Barriera di Vipiteno. Sono ben organizzati. Ma a volte è anche l’intuizione dell’operatore di polizia a portare a sequestri clamorosi. Una specie di sesto senso che ti fa dire: be’ diamogli ancora un’occhiata a questa macchina, andiamo a fondo».
Anche lo spaccio si è evoluto. Consegne a domicilio, rider della coca in monopattino...
«Trent’anni fa, in piazza delle Erbe, le dosi le trovavi addosso allo spacciatore. Bastava una semplice perquisizione. Le tenevano nella stagnola delle sigarette e delle gomme da masticare».
Troppo facile pizzicarli...
«Già. Così hanno inventato il sistema delle palline in bocca. I più bravi ne tengono anche dieci alla volta. Quando arriva un cliente, sputano nella mano le pallina di cellophane con l’eroina o la coca. Il passaggio dalla bocca alla mano, e da mano a mano, è velocissimo».
Soldi in cambio della pallina. Transazione istantanea.
Quando li fermiamo, inghiottono la pallina, poi, con calma...
La recuperano coi lassativi...
«Esatto. Anche il trasporto. Una volta nascondevano lo stupefacente nei pannelli, nei rivestimenti interni delle auto, o lo tenevano a portata di mano, per gettarlo dai finestrini al minimo segnale di pericolo. Da dieci, quindici anni, utilizzano metodi sempre più sofisticati».
Tipo?
«Vani nel telaio difficili da scoprire, che si aprono col telecomando o dispositivi nascosti. Diavolerie che sfuggono a un’ispezione normale. Di recente, abbiamo smontato completamente una Audi. Il sospetto era nato da una saldatura grossolana sui sedili anteriori. Abbiamo svuotato completamente l’imbottitura: c’erano due sistemi elettrici molto sofisticati che sollevavano la poltroncina, lì sotto avevano sistemato la droga».
La sconfitta che fa più male?
«Quando la gente muore. Un paio di anni fa ci sono stati due decessi per overdose in zona Stazione: si erano iniettati eroina con un alto principio attivo, un grado di purezza del 58 per cento. Anche negli anni ’90 ci furono diverse morti per overdose nel rione Europa Novacella: gli spacciatori avevano un contatto diretto con i turchi, l’eroina che arrivava a Bolzano era pura al 98%».
I morti disturbano gli affari del narcotraffico, l’allarme sociale cresce, e così anche la pressione delle forze dell’ordine.
«Il mercato non vuole troppe noie. Oggi l’eroina più che altro si fuma. Questa eroina da fumo arriva a Bolzano con un bassissimo principio attivo: non vai in overdose, ma entra in circolo in fretta e crea subito dipendenza. Il problema è che, soprattutto i giovanissimi, non se ne rendono conto. Tempo fa abbiamo pizzicato una comitiva di ragazzini: erano convinti di fumare hashish...».
Invece era eroina.
«L’eroina caramellata alla vista è quasi identica all’hashish. L’odore è completamente diverso, ma se non sei esperto non te ne accorgi».
Quanto frutta l’eroina?
All’ingrosso dai 6 i 10 mila euro al chilo. La vendita al dettaglio non ha avuto però un abbassamento del prezzo. Un grammo se lo fanno pagare ancora 80-100 euro. Una pallina da 0,25 grammi viene dai 20 ai 25. L’Antidroga è come Sisifo. Costretti a ricominciare da capo ogni santo giorno. Non è frustrante? «No. La nostra è un’azione di contrasto, ne siamo consapevoli. Nessuno di noi pensa realisticamente di cancellare la droga dalla faccia della terra».
La repressione non basta?
«Si deve puntare di più sulla prevenzione, andare nelle scuole, parlare, spiegare, avvertire. I ragazzi vanno messi in guardia. Devono sapere che se vengono beccati anche con una minima quantità, ci sono conseguenze. Il divieto di guidare, l’ammonimento del Prefetto, il ritiro dello scooter e del passaporto».
Prevenire, prevenire, prevenire.
«Si deve iniziare già alle medie. L’età del consumo è calata drammaticamente. Gli adolescenti hanno una visione distorta. Pensano che il tossico sia solo quello che si buca. Il laccio emostatico, il sangue, la siringa, l’Aids. Cose lontane. L’eroina la fumano, le droghe sintetiche le inghiottono, pensano sia meno grave. Non è così. Nel giro di poche settimane la dipendenza è già un dato di fatto. La stessa cosa per l'hashish».
Cosa pensa delle droghe leggere?
Che non esistono più. Da tempo stiamo testando un altissimo principio attivo sulla marijuana (fino al 18%) e sull’hashish con punte del 42-48%. Venticinque anni fa, l’hashish era tanto se arrivava all’8. Anche i semi vengono trattati geneticamente. Siamo di fronte a un cambiamento che la società stessa fatica a comprendere.
Poi c’è l’impatto sanitario, sociale psicologico.
«In questi anni ho conosciuto centinaia di persone affette da dipendenze. Quelle che ne sono uscite una volta per tutte, posso contarle sulle dita di una mano».
Chi sono i tossici degli anni ’20?
Non c’è un identikit, il consumo è trasversale: uomini e donne, giovani e meno giovani, di tutte le estrazioni. A volte si inizia a tirare coca e fumare eroina per “fare serata”. Poi passano ad un uso massiccio, con tutto quello che ne consegue in termini di salute e di necessità di procurarsi il denaro. C’è gente che non dico ci sia caduta per caso, ma sicuramente in modo inconsapevole, sottovalutando quello che stava facendo.
Che rapporto si instaura con i consumatori?
Negli anni ho preso a cuore alcune situazioni. Casi che abbiamo seguito insieme ai servizi dell’Asl. Però, a distanza di tempo, resti deluso.
Perché?
Perché poi, dopo anni, quelle persone che credevi fossero ormai pulite, le ritrovi di nuovo nei giardini della stazione a mendicare la roba. Gente che può essere il tuo vicino di casa, la signora che lavora in banca, il compagno di classe di tuo figlio. La dipendenza è una brutta bestia. Molti vengono manipolati, usati dai manovali dello spaccio. Questo sì, a volte, è frustrante.
E con gli spacciatori?
Con gli spacciatori, sia piccoli che grandi, il rapporto, se così possiamo definirlo, è “professionale”. Loro mettono in conto l’arresto, anche qualche anno di galera. Certo, fanno di tutto per evitarlo, ma in 40 anni non ho mai ricevuto minacce serie, e il mio nome e cognome è da sempre sull’elenco telefonico. Quelli del giro degli arabi mi chiamano “signor Pasquale”. Rispettano il ruolo.
L’attività di contrasto sul campo è però molto rischiosa...
Certo, ogni intervento va studiato come si deve. C’è il corriere alla guida che perde la calma e rischia di investire i colleghi che lo bloccano a Bolzano Sud, quello che magari tira fuori la pistola o il coltello. Se hanno la possibilità di buttare via lo stupefacente o darsi alla fuga, garantito lo fanno. Mettici anche l’adrenalina, l’imprevisto è sempre dietro l’angolo. Bisogna saper gestire le situazioni.
Settembre 2021, operazione Komba 19. Stroncate un vasto traffico internazionale di droga con epicentro Bolzano: 50 persone arrestate, 14 chili di droga sequestrata tra eroina, coca e hashish.
Due anni di indagini. Siamo partiti monitorando la zona dei palazzi provinciali vicini alla stazione. Telecamere, pedinamenti, sorveglianza continua. Abbiamo mappato ogni angolo tra piazza Verdi e il parco. Lo spaccio era in mano a un sodalizio criminale composto prevalentemente da cittadini di origine tunisina. Appena qualcuno, di qualche altra etnia, provava a infilarci il piede, veniva allontanato a sprangate o a colpi di roncola. Rifornivano tutta Bolzano e anche Merano.
Le piazze di spaccio erano divise secondo un accordo ben preciso tra tunisini e marocchini.
C’era un gruppo che operava a Ponte Resia, un altro in piazza Don Bosco, e poi dieci, undici spacciatori che dalla mattina alla sera stavano sempre ai giardini della stazione. In sei mesi abbiamo sequestrato quasi sette chili di eroina.
Da chi prendevano la roba?
Dalle cosche albanesi. Avevano della cocaina con un altissimo principio attivo. Talmente “buona” che i tunisini “bolzanini”, a loro volta, la rivendevano anche in Francia.
Oggi come funziona?
La domanda è così alta che lavorano tutti senza pestarsi troppo i piedi. Magrebini, albanesi, italiani.
L’ultima operazione che lei ha coordinato, la “Delivery20”, si è conclusa lo scorso novembre con 25 custodie cautelari. Ha svelato la nuova frontiera dello spaccio di cocaina gestito dal clan degli albanesi.
La base era in via Roma a Bolzano. Gli spacciatori consegnavano la roba in monopattino. Rifornivano anche i marocchini che stazionavano a Don Bosco, e i tunisini che vendevano nel quartiere San Quirino.
E gli italiani?
Be’ gli italiani pippano, sniffano, comprano, consumano. Molti insospettabili e incensurati fanno da corrieri. Se li prendi anche con venti, trenta chili, spesso se la cavano con un patteggiamento. A un livello più alto, c’è chi fornisce la logistica. Nel 2017 un gruppo di serbi attivo sulla piazza di Bolzano aveva stretto un’alleanza con un imprenditore veronese. Questo tizio “prestava” i suoi capannoni e i suoi camion all’organizzazione. Un giorno l’autista serbo parte con un tir, preceduto da una vettura, una Passat guidata da una donna, che faceva da staffetta. La donna “apriva” la strada e segnalava ogni pericolo.
Destinazione?
Calabria. Anche al ritorno, la vettura precedeva il tir. Blocchiamo il camion poco prima di Verona. Portava due tonnellate di marijuana. Un’operazione molto importante per una realtà piccola come la nostra.
I bolzanini collaborano con la Polizia o si fanno i fatti loro?
Collaborano. C’è gente che ci ha ospitato in casa giorni per sorvegliare il palazzo di fronte, un parcheggio o una strada. Le antenne sono molto affinate e sensibili.
E le istituzioni?
Reattive. Durante la “Delivery20” abbiamo iniziato l’attività in un certo periodo dell’anno, poi c’è stata la fioritura degli alberi, le telecamere non vedevano più niente. Il Comune ha scritto al giornale che c’era da fare la potatura. La mattina alle sei coi ragazzi della Giardineria siamo intervenuti, liberando del tutto la visuale.
I ricordi più belli?
Una cosa che non c’entra con l’attività all’Antidroga.
È cioè?
La scorta al Dalai Lama. Chi, come me, ha seguito il corso di specializzazione, viene assegnato al servizio scorte in casi particolari.
Infatti, ogni volta che sua santità è venuta in regione, lei è stato sempre il suo angelo custode.
L’ultima, nel 2017, mi ha onorato del rito della sciarpa bianca, la Khata, simbolo di buon auspicio e compassione. Ormai mi conosceva, aveva grande rispetto per il nostro lavoro.
Speciale è stato anche il legame con Franco Frattini.
Dal ’96, da quando venne eletto nel collegio Bolzano - Bassa Atesina, ogni volta che veniva in Alto Adige, gli ho sempre guardato le spalle.
Che ricordo ha?
Una bravissima persona. Spesso ai “vip” non importa delle condizioni in cui dobbiamo operare. Nella stessa giornata puoi trovarti la mattina a Palazzo Ducale, e il pomeriggio sulla pista da sci a Obereggen, vestito ancora con l’abito scuro e le scarpe basse da città. Con Frattini non accadeva mai. La prima cosa che faceva era informarci del programma della giornata. E ovunque andassimo si accertava che “i ragazzi della scorta” avessero il tavolo al ristorante, un posto al caldo dove aspettare. Cose che non si dimenticano».