Marinelli, il "pappagallino" che sfidò Coppi e Bartali
Il ciclista della valle di Sole conquistò il cuore dei francesi
Chi se lo ricorda più? Eppure, un figlio della valle di Sole, di cognome Marinelli, di nome Jacques, sfidò Coppi e Bartali lungo le infuocate strade di un Tour de France epico come pochi, quello del 1949. E dallo scrigno dei ricordi e della memoria, tonificante antidoto - talvolta - alla banalità sportiva dell’oggi, spunta una fotografia in bianco e nero. È stata scattata il 14 dicembre del 1950 al Grand Hotel Trento.
Là, nell’inverno del 1954, si tenne il congresso nazionale dell’allora Unione Velocipedista Italiana. Il Consiglio direttivo dell’UVI – racconta Ottone Bill Cestari, insuperato cronista dello sport delle due ruote in Trentino – si ritrovò in una atmosfera “di serena tranquillità, anche perché non c’erano in ballo elezioni di sorta. Tra gli ospiti d’onore erano presenti anche due grandi ciclisti del passato, Alfredo Binda e Learco Guerra, particolarmente festeggiati. Presente anche il naturalizzato francese Jacques Marinelli, ritornato come ogni fine anno nel suo paese d’origine in valle di Sole per riposarsi dalle fatiche del Tour e di altre corse.”
Eccolo, Jacques Marinelli, nella foto. Quasi un bambino. Guarda serio verso il fotografo, con quegli occhi che sembrano puntare verso una linea immaginaria, probabilmente verso il traguardo. È una bella storia sportiva quella di Jacques Marinelli, piccolo grande ciclista, “le perruche” – il pappagallino – come ebbe a chiamarlo Jacques Goddet, il mitico giornalista francese dalle colonne de L’Équipe. È la storia di un figlio del Trentino – della valle di Sole – che il destino portò in Francia. È la storia di un piccolo (era alto un soldo di cacio) grande ciclista che nel 1949 entrò nel cuore di tutti i francesi. Conquistò la maglia gialla alla terza tappa del Tour di quell’anno, la tenne per sei giorni e la cedette, dopo tappe epiche e memorabili, dapprima a Magni, poi a Fausto Coppi, Fostò come lo chiamavano i francesi. Arrivò terzo alla fine di quel Tour. Davanti a lui solo Fausto Coppi e Gino Bartali, e scusate se è poco.
Marinelli non dimenticò mai la sua terra di origine. Per anni è ritornato a Malè, là dove era nato suo padre, Eugenio, artigiano, gran lavoratore “capace di sistemare ogni cosa” e dove era nata sua madre, Giuditta Pangrazzi, parrucchiera. Negli anni Venti il Trentino, appena uscito da una guerra devastante, deve fare i conti con le novità della storia: non ci sono più gli austriaci e nella nuova Patria, l’Italia, s’avanza l’ombra nera del fascismo. Eugenio e Giuditta fanno quello che migliaia di altri trentini fanno: emigrano in cerca di fortuna. Sono giovani, determinati e hanno voglia di fare: nel 1923 se ne vanno in Francia. Si portano dietro anche una stampa, preziosa: vi è raffigurato il blasone della famiglia Marinelli, datato 1717. Sono anche loro di nobile casata? Importa poco, a quel punto. Conta rimboccarsi le maniche e darsi da fare. Ed è quel che fanno. Dapprima a Drancy, poi a Blanc-Mesnil. Là la fatica un po’ alla volta paga e la famiglia diventa più grande. Nel 1924 nasce il primogenito, Umberto. Il 15 dicembre del 1925, nella casa di rue de Laboreur 26, viene al mondo il piccolo Jacques. Un po’ piccolo lo resterà sempre, ma agli occhi dei tifosi del ciclismo sarà grande, grandissimo.
È un ragazzino serio, Jacques. Da grande vuole fare il meccanico, ma non disdegna la passione per la musica. Finché un giorno sale su una bicicletta. E non si ferma più. Negli anni della seconda guerra mondiale, nella provincia francese, si corre in bicicletta, fors’anche per sfuggire l’incubo di un nuovo conflitto, di una nuova carneficina. E Marinelli disputa le sue prime corse. È un passista indomito e generoso. Persino troppo, proprio questo gli verrà rimproverato: di non sapersi gestire, di esagerare, di andare sempre all’attacco, di non dosare le forze. Nel 1942 la sua prima corsa: settimo a Vert-Galant. Nel 1944 la sua prima vittoria, al Prix Falies, a Vaujors. Le foto dell’epoca ce lo restituiscono, piccolo, determinato, combattente.
Dopo la guerra, la scelta è fatta. Il ciclismo diventa la sua vita. E nel 1949 Marinelli diventa leggenda, in terra di Francia. Disputa il suo primo Tour e non è certo tra i favoriti. Eppure stupisce tutti: il pappagallino è diventato canarino, scrivono estasiati i giornali francesi. Non vince tappe, ma si piazza a ripetizione. Domenica 3 luglio 1949, quel che non ti aspetti. Il Tour fa tappa a Rouen, vince il francese Teisseire ma Marinelli è subito dietro e strappa la maglia gialla a Callens. La terrà per sei giorni, sufficienti a trasformarlo – sull’onda delle cronache de L’Équipe e delle radiocronache (il canale nazionale francese trasmette ogni giorno alle 8.40, alle 12.30 e alle 19.30: milioni di persone sono incollate alla radio) – in un piccolo grande eroe. La maglia gliela strappa Fiorenzo Magni a Pau, domenica 10 luglio. Per un giorno la indosserà Gino Bartali e dalla diciasettesima tappa fino all’arrivo trionfale a Parigi, tocca a Fausto Coppi, che poche settimane prima aveva vinto anche il Giro d’Italia.
Marinelli resterà per sempre – lo è ancora oggi – l’uomo di quel Tour. Vincerà ancora qualcosa, qualche criterium, qualche corsa. Ma quella settimana in giallo, capace di spaventare Coppi – che per il giovane corridore francese dalle radici trentine spese complimenti non di circostanza – e di piazzarlo comunque davanti a pedalatori come Robic, Magni e Lazarides, resterà inarrivabile. Correrà altri tre Tour de France, Marinelli. Ma la fortuna non sarà certo dalla sua parte. Nel 1950 si ritira alla settima tappa, vittima di un malanno tanto doloroso quanto antipatico: foruncolosi. Sì, un terribile foruncolo e l’intruso lo colpisce proprio là dove ci si siede e per un ciclista questo
vuol dire tormenti e tormenti. Le provano tutte per farlo andare avanti: gli infilano una spugna dentro i pantaloncini, arrivano persino a segargli la sella a metà, per evitargli di dover appoggiare la parte dolorante sul duro. Niente da fare. Ad Augan l’ambulanza del Tour lo prende a bordo. L’eroe che un anno prima aveva fatto impazzire i francesi – erano in 60 mila al Parco dei Principi, a Parigi, ad applaudirlo al giro d’onore con Coppi e Bartali – lascia mestamente. L’anno dopo ancora sfortuna. Alla ventesima tappa, sull’Izoard, con Coppi in fuga, Marinelli è tra i primi. Ma nella discesa finisce contro una macchina, viene catapultato tra i rovi e i sassi, è una maschera di sangue, si sloga la caviglia. A casa, di nuovo. L’ultimo Tour è quello del 1952, orgogliosamente concluso al 31esimo posto. Ma il combattente è stanco. Appende la bicicletta al chiodo e si dedica agli affari. Nel 1954 lascia per sempre il gruppo e si mette dietro il bancone di un negozio di elettrodomestici.
Curioso: nel 1950, dopo il ritiro al Tour, Marinelli diventa commentatore per un giornale ed è uno dei primi, in Francia, a disporre di un grande schermo televisivo per seguire la corsa. E quando si mette nel commercio, sfrutta proprio l’onda lunga del boom economico: sui televisori costruisce la sua fortuna. Il negozio va bene, ne rileva altri, diventano una catena. Non solo: si dedica anche alla politica. Sta di fatto che Marinelli fa l’amministratore – assicurano – con lo stile di quando correva: concreto. Diventa sindaco della cittadina di Melun, 40 mila abitanti nel dipartimento Seine et Marne. È eletto una prima volta nel 1989, viene riconfermato nel 1995, resta in carica fino al 2002. Il suo slogan: “Fare di Melun una città moderna senza smettere d’essere una città fraterna.” Non può dimenticare il Tour del 1949, perché i francesi non lo hanno mai dimenticato. Il suo primo intervento da sindaco, in consiglio comunale, inizia così: “Sarò, come si usa dire, alla testa del gruppo, ma senza di voi non potrò vincere la corsa.”
Non basta. Il destino ciclistico, imponderabile, ha voluto in qualche modo legarlo ancora di più al Trentino. C’è una foto del 1955, scattata al Tour de France, sulle Alpi. C’è un signore che allunga una bottiglietta d’acqua ad un ciclista. Il ciclista è Charly Gaul e il signore che allunga la bottiglietta è proprio Jacques Marinelli. Lui aveva smesso di correre da appena un anno, ma ricordava bene il valore dello sforzo e della fatica. Né Gaul né Marinelli potevano saperlo: un anno dopo, nel 1956, lungo la salita del Monte Bondone, il corridore lussemburghese avrebbe scritto una delle pagine indimenticabili della storia del ciclismo. Sarebbe diventato per sempre l’angelo della montagna.
In Francia, ancora oggi, Jacques Marinelli, figlio di Eugenio e di Giuditta, figli di un Trentino che faceva fatica a tirare avanti e che doveva cercare fortuna in terra straniera, è il piccolo grande ciclista che osò sfidare Coppi e Bartali.Il piccoletto che per alcuni giorni fece pensare ad un Paese intero che il figlio di emigrati trentini potesse battere Coppi e Bartali. Comunque sia, sia gloria anche a te, piccolo grande Jacques.