Penne nere

I 90 anni del Lupo:  una storia di alpini, fabbrica e acciaio 

Un compleanno speciale. Il Gruppo Alpini Acciaierie di Bolzano festeggia il suo socio più anziano. «Sono entrato nello stabilimento a 15 anni, e al posto di  questa sala c’era la baracca di noi ragazzi arrivati per fare gli operai»


Luca Fregona


BOLZANO. Il “Lupo” ha gli occhi grigi come il ghiaccio. Una mano che stringe come una pressa. Lo sguardo oltre l’orizzonte. Cento penne nere del Gruppo Alpini Acciaierie gli sono attorno. Tutti si abbracciano. Intonano il “Trentatrè”, l’inno degli alpini. I bicchieri di carta traboccano prosecco e spritz alla veneta allungati da qualche lacrima.

Il Lupo canta, sorride, si commuove. Si culla in questo abbraccio affettuoso che sembra non finire mai. Il Lupo oggi compie 90 anni. Qui dentro, nella sede della Protezione civile dell’Ana in via Volta, che altro non era che il “Cral” (il dopolavoro aziendale) delle Acciaierie. E prima ancora un dormitorio per i “mocciosi” che nel secondo dopoguerra venivano da tutto il Nord Italia per lavorare nelle fabbriche della Zona industriale. Acciaierie, Lancia, Montecatini...

Giovanni Venturin, “il Lupo”, era uno di loro. «Sono arrivato nel luglio del 1945 dal mio paese, Bovolenta di Padova. A casa non c’era da mangiare, era dura. Appena si è saputo che a Bolzano cercavano manodopera, non ci ho pensato due volte. Mi sono iscritto nelle liste. Non avevo 16 anni: ci hanno caricati su una corriera e portati esattamente QUI». Il Lupo punta l’indice verso il pavimento. «Ho avuto appena il tempo di salutare i miei. Sono arrivato da solo e mi sono dovuto arrangiare, ma solo il fatto di avere un lavoro, una paga, una prospettiva, era bellissimo». Giovanni Venturin si guarda intorno. «Proprio in questa stanza, dove oggi festeggio i miei 90 anni, c’era il dormitorio. Una baracca accanto allo stabilimento. Tra queste pareti ho vissuto la mia giovinezza». Prima che le fabbriche realizzassero nuove case per gli operai a Oltrisarco e in via Resia. Il Lupo ora punta l’indice laggiù verso la ferrovia. «Lì abitava un contadino. Le Acciaierie gli davano gli avanzi della mensa per i maiali, e lui vendeva i maiali alle Acciaierie per le cucine. Oggi lo chiamano chilometro zero, economia del riciclo. Come vedi, non s’inventa niente. Ho iniziato come falegname, poi mi hanno mandato al reparto Laminazione. Ho chiuso da gruista. Sono andato in pensione nel 1981 dopo 36 anni di fabbrica».

Fabbrica e penna nera. «Sono partito di leva nel 1951 - racconta Venturin - . Prima il Car a Merano, poi al Sesto Alpini a Vipiteno, Battaglione Bolzano. Ho ricordi bellissimi». La montagna, i valori alpini, ma anche un carattere non certo docile. «Diciamo che ero uno un po’ ribelle. Non le mandavo a dire».

Risultato: invece dei 15 mesi di ferma, se ne fa venti tra punizioni e richiami disciplinari. Ma al “Sesto” diventa una leggenda. Cammina chilometri zaino in spalla senza dire “baf”, in parete ti protegge, difende sempre i compagni. I superiori lo rispettano. «Ero il più anziano, avevo la barba, incutevo timore, hanno iniziato a chiamarmi “il Lupo”. E così mi chiamano ancora oggi».

Tornato in fabbrica dopo la leva, Venturin entra nel Gruppo Alpini delle Acciaierie. «Eravamo in trecento. Il fondatore e capogruppo era Silvano Dalpiaz, che era anche il capo del personale. Sapeva vita-morte-e-miracoli di ognuno di noi. Se facevi la naia negli alpini, ti iscriveva automaticamente. Non c’erano santi». All’epoca quasi ogni fabbrica aveva il “suo” gruppo: più era numeroso, più aumentava il prestigio. Oggi gli “acciaiosi” sono 116, non pochi, visto che la leva obbligatoria non esiste più da 15 anni. «Nel 1953 - prosegue - mi hanno richiamato per la questione di Trieste. Quando Tito voleva mangiarsela. Mi hanno mandato a Tarcento in provincia di Udine, Battaglione Bassano: per fortuna poi non è successo niente»

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Sui tavoli di via Volta, intanto, arrivano piatti fumanti in dosi da Obelix («perché qui si fa sul serio»): risotto, polenta, coscette alla diavola, pasta alla salsiccia. I veci più “veci” (dagli 88 anni in su) si mettono intorno a Venturin per un nuovo giro di auguri. Ecco allora Augusto Fabris , una montagna di un metro e 90 che Hulk gli fa il solletico. E Piero Bianchi, Bruno Milan, Fabio Pellegrinelli, Granfranco Consoni e Ottorino Boscaro. E ancora l’omaggio dei capi gruppo che si sono avvicendati: Francesco Bianchi, Renato Dal Gesso e Paolo Massardi, che lo guida oggi. Ha 41 anni Massardi, 50 meno del Lupo. E un rispetto, una devozione verso gli anziani paragonabili solo all’amore di un figlio per il padre. Una caratteristica dei Gruppi Alpini è proprio questa: la condivisione, l’amicizia che cancella ogni differenza d’età o d’estrazione. Cita don Gnocchi, Massardi: «L’alpino è come certi fiori selvatici delle sue montagne, gelosi e irsuti: ecco, il Lupo è così. Un fiore selvatico...».

E allora, caro Lupo, buon compleanno anche dall’Alto Adige.













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