Caramaschi sfida la Lega davanti al muro del lager: «C’è chi fomenta l’odio»
Giornata della Memoria, l'attacco del sindaco di Bolzano: «Basta essere tolleranti con gli intolleranti»
BOLZANO. Fa freddo in via Resia. Promette neve. Una mattinata gelida come quella di 74 anni fa, 27 gennaio 1945. Mentre i russi entravano ad Auschwitz, nel campo di Bolzano comandavano ancora le SS. Fino a marzo hanno caricato di esseri umani i treni per la Germania. Oggi, anno 2019, Giornata della Memoria, davanti al muro del lager ci sono le corone del Comune e dell’Anpi, i vecchi alpini e i bersaglieri con le bandiere d’arma, i cittadini (tanti), le autorità, le istituzioni. I sindaci di Bolzano e Laives, Caramaschi e Bianchi. Il vicegovernatore Schuler. La Lega al gran completo: il vicepresidente della giunta provinciale Vettorato. Il deputato Filippo Maturi. Il consigliere provinciale Vettori. I consiglieri comunali Nevola e Masocco. La Lega di governo. In Italia e in Alto Adige. I segnali sono importanti. «È un luogo di dolore - dice Maturi - e non vogliamo che l’orrore si ripeta e ripiombare nell’oscurità».
Il sindaco Caramaschi, quelli della Lega, li guarda appena. Infastidito. Tocca a lui fare il discorso sul senso di questa giornata. «Davanti a questo muro - dice - mi impegno solennemente a realizzare la scritta con i 15mila nomi delle persone rinchiuse qui dentro. E sia chiaro: voglio sfidare chiunque ad oltraggiarla...». Applausi.
«Questo posto è il simbolo dell’oppressione delle differenze - continua -. Il lager è la negazione della libertà, è l'oppressione eretta a sistema. Italiani e sudtirolesi devono rimuovere le incrostazioni che per decenni hanno impedito loro di vedere. E farlo in fretta, perché i tempi sono bui».
Il sindaco affonda il passato nel presente. Spazza via la retorica e colpisce: «Il razzismo è qui, di nuovo. Sento parole cariche d’odio, la violenza del linguaggio politico sta raggiungendo limiti inaccettabili. Come se la Storia non avesse insegnato nulla. E quei milioni di morti fossero acqua fresca».
Si riferisce “a chi fa i saluti nazisti negli stadi”, ma anche alla caccia ai migranti nelle strade, ai disgraziati tenuti per giorni in mezzo al mare, ai “leoni da testiera” che invocano forni crematori e napalm. «Dobbiamo stare attenti - dice il sindaco -, vigilare. Non si possono trattare le persone come bestie, lasciarle in mare per settimane. Dov’è finita la nostra umanità? Dobbiamo smettere di essere tolleranti con gli intolleranti...».
Caramaschi dà voce all’altra Italia. L’applauso è liberatorio.
Tocca ad Arnold Schuler, il vicepresidente vicario della Giunta provinciale alla prima uscita ufficiale. Segue la linea tracciata da Kompatscher: «Dobbiamo guardare in faccia la nostra storia, dire chiaro e tondo che non permetteremo più alla violenza, all’orrore, al razzismo, di tornare». Alcuni ragazzi del Centro Villa delle Rose leggono Primo Levi. Quel passaggio di “Se questo è un uomo” dove dice che quando si arriva a pensare che «ogni straniero è nemico» si diffonde un’infezione latente, al termine della quale c’è il lager. E di nuovo, il pensiero, va all’oggi.
Nella Pasquale Mayer, 23 anni, è sinta. Racconta delle deportazione della sua famiglia originaria di Appiano. Qui, proprio qui, nel campo di via Resia, è morta di sevizie la sua prozia Edvige. Qui i suoi nonni Enrico e Giovanna sono passati prima di essere inghiottiti dai campi in Germania e Polonia. Se c’è una classifica dei drammi più ignorati, quello dei Sinti e dei Rom è al primo posto. «Anche questo è razzismo», dice il capo dei Sinti bolzanini, Radames Gabrielli.
E ha ragione.
Il corteo si sposta al cimitero, per la cerimonia nel settore ebraico. Tra i cipressi del camposanto, Caramaschi si sfoga. «Non le ho mandate a dire, visto?». Il riferimento è alla Lega schierata in gran parata. «Basta tolleranza con gli intolleranti, sindaco?». Annuisce. È preoccupato. Non è facile tenere il timone di un città che devi governare col pugno saldo ma senza dimenticare l’umanità.
Poche ore fa, un migrante fuori di testa ha sfasciato decine di auto in via Galvani. Quattro giorni fa un giovane del Gambia è stato aggredito e malmenato in piazza Mazzini al grido di “sporco negro”. «Tutto viene strumentalizzato e caricato di violenza - dice - , anche nelle istituzioni che dovrebbero invece dare l’esempio. In consiglio comunale vedo tanta grettezza e ignoranza». Il leghista Pancheri che definisce “finocchi” i gay. Il fascista Andrea Bonazza che su Instagram esalta Hitler e in aula parla dei “culi” delle donne come se fossero pacchi di pasta sugli scaffali di un supermercato...
«È ora di dire da che parte si sta», dice Carmaschi.
Il cantore della comunità ebraica Simeone Bordon aspetta accanto al monumento che ricorda 6 milioni di vittime innocenti. «Persone che non ci sono più - dice - , noi le abbiamo perse per sempre. Sono i nostri cari mancati che salutiamo con le nostre preghiere».
Non è una giornata facile per la Comunità ebraica, al peso della memoria si aggiungono i dubbi sul senso di questa ricorrenza. Molti ebrei, delusi, non partecipano. Dice Bordon: «Ci si ricorda della Shoah un giorno l’anno, ma bisognerebbe non dimenticare anche negli altri 364. Il problema è che c’è anche chi dice che ora di finirla con “sta storia degli ebrei”». Come se lo sterminio di milioni di persone potesse andare in prescrizione. «Liliana Segre - prosegue Bordon - ha detto che morti loro, gli ultimi testimoni, cadrà l’oblio, e tutto apparirà sempre più lontano. Per questo io credo che la Giornate della memoria sia importante. Aiuta a non dimenticare ma anche a tenerci sempre vigili». Bordon sente la pressione di un odio risorto di prepotenza in Europa, e da fronti diversi. «Un antisemitismo nascosto che emerge di continuo. Essere antisemiti non è più un tabù». Anna Frank vilipesa dai vigliacchi allo stadio, i saluti nazisti, le adunate, gli attentati e gli omicidi del terrorismo islamico, lo Stato di Israele costretto ancora a giustificare la sua esistenza, la balla dei protocolli di Sion sbandierata in parlamento... «Viviamo tempi difficili, ma non chiudiamo la porta alla speranza».
Bordon legge la “preghiera dei deportati”. Poi invita a mettere un sasso sotto il monumento, a ricordo di chi non c’è più. Lo fa Caramaschi. Lo fa Schuler commosso. Lo fanno Maturi e Vettori. Lo fa il presidente dell’Anpi Margheri. Lo fa il vecchio Lionello Bertoldi. Lo fa il Pd per una volta senza correnti: Repetto, Huber, Andriolo, Luisa Gnecchi. Lo fanno due sindaci che si sono impegnati per far tornare la memoria alla città: Luigi Spagnolli e Giovanni Salghetti.
Nel 1938 gli italiani girarono la testa quando vennero promulgate le leggi razziali e i bambini cacciati dalle scuole. Oggi i bambini vengono tenuti per giorni in mezzo al mare in tempesta. «Ma oggi - ammonisce Bordon - , a differenza di allora, si può dissentire. La discriminazione c’è, ma ci si può ribellare». Forse il cantore ha ragione: «Non chiudiamo la porta alla speranza».