Anonimo paga la tomba arcobaleno di Mariasilvia Spolato: «L’amore è il rispetto»
Montata la lapide tre anni dopo la scomparsa della prima donna a fare coming out in Italia
IL RITRATTO Fu la prima a dire «io amo una donna»
IL VIDEO Parlano di lei Luca Fregona e Lorenzo Zambello, che ha avuto "l'onore di poterla fotografare"
IL VIDEO La voce di Mariasilvia
BOLZANO. La tomba è di granito “rosso taivassallo”, lucido e resistente al freddo. Un piccolo angelo bianco dorme sereno raggomitolato nelle ali sulla lastra poggiata a terra. L’epigrafe: «Nessuno ha amore più grande di colui che sa rispettare la libertà dell’altro». È di Simone Weil, la “santa degli esclusi”. L’iscrizione in caratteri oro dice: “Marisilvia Spolato *26.6.1935 +31.10.2018”.
La foto sulla stele: Mariasilvia, ormai anziana con il berretto di lana blu, forse finalmente serena. Dietro c’è la bandiera arcobaleno. È La foto che tre anni fa ha fatto il giro del mondo, postata e ripostata migliaia di volte. La tomba è lucida, pulita, liberata dal ghiaccio e dalla neve, protetta da un perimetro di ghiaia candida e fine. L’hanno finita di montare ieri mattina al campo numero 17 del cimitero di Oltrisarco.
La tomba è un dono. Le spese, a tre anni dalla scomparsa, sono state coperte da una persona che ha voluto restare anonima. La frase di Simone Weil l’ha scelta Sara Degli Agostini, ricercatrice, attivista per i diritti civili, amica di Mariasilvia. E non poteva essere più bella e giusta. Un risarcimento per una vita privata del rispetto e, quindi, della libertà di essere se stessa.
«Lo scorso ottobre - racconta la presidente di Centaurus Arcigay Alto Adige Arianna Fiumefreddo - al termine di una manifestazione per la legge Zan, avevamo rivolto un appello per raccogliere i fondi per dare a Mariasilvia una tomba “vera”, riconoscibile dove si potesse portare un fiore o un pensiero». Fino a quel momento Marisilvia riposava sotto un cumulo di terra con un cippo in pietra grigia. E una epigrafe di latta nera con lo stretto necessario: nome e date di nascita e morte. «Eppure - spiega Sara Degli Agostini - nonostante fosse così nascosta, tante persone continuavano a venire a trovarla. Allora ci siamo dette: dobbiamo rendere questo posto più accogliente e dignitoso». Una tomba che trasmetta l’importanza del ricordo. Luce sulle tenebre dell’oblio. Pochi giorni dopo l’appello di Fiumefreddo, una persona ha fatto sapere a Centaurus di voler sostenere tutti i costi. «Abbiamo fornito i preventivi. Ha versato l’intera somma senza eccepire su nulla. La ringraziamo di cuore. Un gesto bellissimo e assolutamente disinteressato». Dopo il via libera da parte delle cugine di Mariasilvia, la palla è passata al marmista che ieri mattina ha terminato il montaggio della lastra funeraria.
Marisilvia Spolato è stata seppellita a Bolzano, la città dove lei, nata a Padova, aveva scelto di vivere in un modo tutto suo. Per strada, sull’Espresso Notte Bolzano-Roma, sulle panchine del Talvera, nel salone della Biblioteca civica. E poi, durante la vecchiaia, ospitata dalla Casa delle donne di via Cappuccini e, alla fine, nella residenza per anziani Villa Armonia. Aveva scelto Bolzano forse perché lontana dalla sua vita di “prima”. Per noi era solo una barbona, un’eccentrica che si trascinava dietro buste zeppe di cianfrusaglie, libri e pile di settimane-enigmistiche da riempire con una punta di matita. Una tipa un po’ originale, un po’ fuori di testa. Il maglione anche d’agosto, l’insistenza nel chiedere una sigaretta ma mai soldi. Una matta burbera e inoffensiva. Solo il 31 ottobre 2018, quando è morta a 83 anni, abbiamo scoperto chi fosse veramente. Ovvero: la professoressa Mariasilvia Spolato. Laureata 110 e lode in matematica, docente universitaria, autrice alla fine degli anni Sessanta di manuali per gli studenti pubblicati da Fabbri e Zanichelli. E prima ancora, assunta all’Ufficio tecnico della Pirelli. E che lei, padovana trapiantata a Roma, era stata la prima in Italia a fare “coming out”, a dichiarare il suo amore per un’altra donna. Nel lontano 1972, 50 anni fa.
Mariasilvia Spolato è stata pioniera del movimento per i diritti delle persone omosessuali. Insieme ad Angelo Pezzana, nel 1971, aveva fondato la rivista “Fuori”, che poi è diventata la prima organizzazione dichiaratamente gay del nostro Paese. In quell’Italia dove tutto sembrava possibile sul fronte di diritti civili, lei era un’attivista instancabile. Aveva pubblicato la prima poesia lesbica del “neofemminismo italiano”, e un libro che ancora oggi è considerato una bibbia dei diritti civili, «I movimenti omosessuali di liberazione». Per il poeta Dario Bellezza era una delle colonne portanti dell’emancipazione di gay e lesbiche. Ma a un prezzo altissimo. Ripudiata dalla famiglia. Cacciata dall’università. Abbandonata dalla compagna che non aveva capito la sua irruenza, il suo coraggio, il suo bisogno di dirlo, di dichiararsi, di rompere un tabù. Come un cane ferito, iniziò una vita randagia. Non si sa perché e percome arrivò a Bolzano alla fine degli anni Settanta. Viveva in strada. Con il freddo si rintanava alla Biblioteca civica sempre immersa in un libro. Non si lavava, non si curava, non accettava aiuto. In lei si percepiva qualcosa di diverso, ma non lo raccontava. Si chiudeva negli angoli a leggere e scrivere. Al massimo chiedeva una sigaretta. Mai denaro. Eppure c’era chi si divertiva a picchiarla o a spegnerle le sigarette sul braccio. Non è un caso che, dopo la morte, sia stata riscoperta, e anche protetta, proprio da chi si sente in debito con lei: i giovani attivisti e le giovani attiviste della comunità gay. Oggi è ancora difficile fare coming out, dirlo ai genitori, agli amici, sul luogo di lavoro. Ma se passi avanti si sono fatti, è anche grazie a chi - per prima - ha sfidato convenzioni e pregiudizi.
Mariasilvia Spolato qui ha trovato anche tante persone che le hanno voluto bene: i ferrovieri che di notte la lasciavano dormire al caldo sui treni, le operatrici di Casa Margaret che hanno cercato di conquistarne la fiducia, scontrandosi con un muro di diffidenza, paura, e, a volte, di aggressività. Le assistenti di Villa Armonia che l’hanno accudita con amore per nove anni. Amiche come Sara Degli Agostini, che ne conoscevano il dramma e non le facevano mai mancare nulla. In questi tre anni su Mariasilvia sono stati scritti libri (“L’emersione imprevista” di Elena Biagini), tesi di laurea, girati documentari, registrati podcast (il bellissimo “Prima” di Sara Poma). La sua foto da ragazza a una manifestazione con il cartello “Fronte di liberazione omosessuale” è finita sulla copertina del Venerdì di Repubblica. Mancava un luogo per ricordarla come si deve. Ora c’è.
Ci ha pensato un anonimo.
I motivi possiamo solo immaginarli, intuirli. Un debito di gratitudine che in fondo abbiamo tutti. Non è “solo” l’esigenza di una minoranza. Non parliamo di panda da proteggere, ma di persone, sentimenti, identità. Un Paese è tale se è “patria” per tutti. I
l campo è il numero 17, entrata sud, tomba 33, seconda fila. Cimitero di Bolzano.
Basta un fiore.