Astronauti e paesi affogati per fuggire dalla realtà
Il 22 e 24 a Bolzano andrà in scena “Gaia”, mentre il 23 a Trento c’ è “Curon”
Fringe è ai margini, mai al centro della scena. Fringe è di nicchia e non ama troppo i riflettori. Si chiama OPER.A 20.21 FRINGE il concorso per opere contemporanee ideato dalla Fondazione Haydn di Trento e Bolzano con lo scopo di valorizzare i talenti artistici del territorio dell’ Euregio Tirol, Alto Adige-Südtirol e Trentino. I due lavori vincitori sono stati annunciati alla conferenza stampa di ieri e saranno presentati uno il 22 e 24 febbraio al Teatro Comunale di Bolzano e uno il 23 febbraio al Teatro Sociale di Trento (ci sarà una navetta gratuita per portare gli spettatori da Bolzano a Trento e viceversa), all’interno della terza edizione di OPER.A 20.21. Le due opere, selezionate dalla giuria internazionale presieduta da Eva Kleinitz, Direttrice Opéra National du Rhin, (e costituita dal compositore Giorgio Battistelli, già Direttore Artistico del Festival di Musica Contemporanea della Biennale di Venezia, da Hannah Crepaz, Direttrice Artistica di Osterfestival Tirol, da Barbara Minghetti, già Presidente del Teatro Sociale di Como e ora Direttrice Artistica del Macerata Opera Festival, da Axel Renner, responsabile della Comunicazione del Bregenzer Festspiele, e dal regista e coreografo Luca Veggetti), sono “Gaia” del regista e compositore brissinese Hannes Kerschbaumer, che sarà presentato a Bolzano, e “Curon/Graun di OHT – Office For A Human Theatre”, che sarà invece in scena a Trento. Sono due opere di giovani autori, nei quali vengono scandagliati i rapporti intricati, conflittuali, problematici dell’uomo con la natura che lo circonda. accomunate dall’intento di scandagliare i rapporti, spesso conflittuali, fra uomo e natura. «Sono arrivate circa 40 opere, un paio oltre la data limite, e il lavoro della giuria non è stato certo facile» ha detto ieri il Direttore Artistico Matthias Lošek che ha coniato il titolo di “Escape From Reality”. Ed effettivamente in tutti e due lavori è presente una, a volte metaforica, fuga dalla realtà che ci circonda. Gaia è una sorta di science fiction per scrivere la quale Hannes Kerschbaumer si è ispirato ai testi di Raoul Schrott e di Gina Mattiello. E’ un lavoro surreale e inquietante che prende il via quando un’astronave, lanciata in orbita verso un pianeta lontano, per cause misteriose, dopo secoli, cade frantumandosi proprio sulla terra. C’è un’unica sopravvissuta che si ritrova sulla Terra trasformato in un deserto, in mezzo a corpi carbonizzati (le sculture sono di Aron Demetz vero genio del surreale). Sorprendentemente tra l’astronauta e i corpi carbonizzati si instaura un dialogo. Come se dalla distruzione totale della Terra che sta operando l’uomo, ci fosse una speranza di una nuova e diversa esistenza. L’ispirazione a Kerschbaumer è venuta vedendo il film “Homo Sapiens” del regista austriaco Nikolaus Geyrhalter con le immagini di luoghi disabitati come Fukushima e Cernobyl, immagini di edifici distrutti e sventrati. Sonorità acustiche ed elettroniche delineano un paesaggio sonoro oscuro, apocalittico in cui la voce (di Gina Mattiello) rappresenta l’unico elemento umano. Curon/Graun, che sarà rappresentato al Teatro Sociale di Trento il 23 febbraio, è un’opera senza personaggi e, come dice il sottotitolo, la “Storia di un villaggio affogato”. Il villaggio è quello di Curon Venosta che nel 1950 venne sommerso in seguito alla costruzione della diga che unì il lago di Resia e il lago di Mezzo, sommergendo 523 ettari di terreno coltivato e 163 case. Ora, la vicenda di Curon rivive in questa performance - installazione di teatro musicale senza parole ideata dal gruppo OHT - Office for a Human Theatre di Rovereto. Sono le immagini del campanile che per metà emerge dal lago a parlare, insieme alla musica del compositore estone Arvo Pärt, eseguita dall’ Orchestra Haydn di Bolzano e Trento. Alla base di Curon/Graun c’è il suono delle campane e la loro forza spirituale, attraverso la ricostruzione del campanile sommerso e rendendo il palcoscenico una metafora letterale. L’evacuazione coatta del piccolo paese di Curon diventa l’espediente narrativo per utilizzare solo testo e immagini come unici elementi scenici, nel tentativo di riavvicinare il teatro alla sua radice più profonda, quella di comunicare attraverso l’immobilità e il silenzio.
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