L’uomo del Bondone ha detto “basta”
Luca Orlandi ha chiuso la carriera là dove l’aveva cominciata 22 anni fa. In mezzo vittorie, sacrifici e tanta passione
TRENTO. Tutto si è chiuso là dove ogni cosa è cominciata: in Bondone. Domenica 20 marzo Luca Orlandi ha tagliato il suo ultimo traguardo da professionista, quello della 50 km in tecnica libera delle Viote. Ha chiuso undicesimo, un buon risultato tutto sommato visto che davanti c’era gente come l’inossidabile Giorgio Di Centa (che vincendo la gara ha conquistato, a 43 anni, il suo 23esimo titolo di campione italiano) e azzurri come Roland Clara, Francesco De Fabiani e poi Sergio Bonaldi e Dietmar Nöckler. Ma le braccia al cielo e le lacrime di commozione erano tutte per il 32enne The Champion e per quegli 11 anni di professionismo che si andavano a concludere là dove tutto era cominciato 22 anni prima: nel Centro Fondo delle Viote in una gara, tra l’altro, organizzata dallo Sci Club Marzola il suo primo gruppo sportivo (che con quella gara concludeva i festeggiamenti per i 50 di attività) e del suo storico allenatore, Marco Baldo.
Ventidue anni di vittorie, come l’oro conquistato alle Universiadi del 2005 nella 30km tecnica classica, il terzo posto finale nella classifica generale di Coppa Europa nel 2011 e la vittoria della classifica generale di Coppa Italia nel 2012. Successi che nel tempo hanno legittimato il soprannome di The Champion datogli fin da ragazzino dagli amici di scuola di Povo (suo paese d’origine) e di Villazzano e dai primi compagni di squadra «per la mia determinazione nel fare le cose - spiega Orlandi - e per l’impregno che ci mettevo fin da piccolo. All’inizio era nato come un nomignolo scherzoso, dal tono ironico. Poi col tempo si è trasformato nel mio vero soprannome». La determinazione è stata da sempre la caratteristica che ha guidato Luca lungo il suo percorso da atleta e infatti quando si è diffusa la notizia che era ormai prossimo al ritiro («perché nonostante le 750 ore di allenamento fatte quest’anno, 80 in più delle passate stagioni, e un collegiale in Svezia di preparazione, quest’anno non ho garantito il numero di vittorie necessarie per restare con le Fiamme Oro», confessa Orlandi), un sms lo ha riportato alle sue prime sciate e alla passione che sin da bambino lo aveva contraddistinto. «A scrivermi è stato il mio vecchio professore di matematica delle scuole medie, Claudio Bassetti (oggi presidente della Sat ndr) - prosegue The Champion - mi ha fatto i complimenti per questi anni di professionismo e mi ha ricordato quando il primo giorno di scuola ha chiesto a tutti cosa volessero fare da grandi. E, ovviamente, erano arrivati tanti “poliziotto”, “astronauta”, “calciatore”, “insegnante”. Io gli avevo detto “ lo sciatore di fondo”». E sciatore lo è diventato eccome Luca Orlandi, finendo anche per indossare dal 2005 al 2016 la maglia delle Fiamme Oro (con il gruppo sportivo di Moena dove si è trasferito a vivere) e quella azzurra della Nazionale. «E dire che alla mia prima gara sono arrivato tragicamente ultimo - sorride - avevo 10 anni e si disputava a Brentonico. Me lo ricordo come fosse ieri. Avevo cominciato a sciare da poco». Era l’inverno del 1994, infatti, quando Orlandi per la prima volta saliva sul pulmino del Gs Marzola che da Povo lo avrebbe portato su, lungo i tornanti del Bondone, fino al Centro Fondo delle Viote. Ancora non sapeva che quell’oretta di curve e scherzi con i compagni lo avrebbe portato a vincere un Universiade e a riconsegnare, dopo 47 anni di digiuno, un oro alle Fiamme Oro ai campionati italiani nella staffetta 4X100. Era il 2011, la location era Gressoney (Valle d’Aosta), la squadra era composta da lui, Rigoni, Nöckler e Pellegrino e tra gli avversari c’erano i vari Di Centa, Clara, Hofer. «Ma non ci sono state solo le vittorie, anzi - prosegue Orlandi - ci sono state tante cadute, tanti momenti negativi. Questi 11 anni di professionismo sono stati contraddistinti da tanti sacrifici e molta fatica. L’inverno sugli sci, l’estate a correre in montagna, in bicicletta e a fare skiroll. E non sono mancate le frustrazioni. Su tutte quelle legate alle strane performance di alcuni avversari, soprattutto nelle gare internazionali. Atleti che normalmente andavano molto più piano di me e dei miei compagni di squadra e che all’improvviso “esplodevano” piazzando delle prestazioni incredibili. Roba da non riuscire nemmeno a stargli dietro. E devo dire che il caso doping scoppiato in Russia ha spiegato tante cose. Io negli anni ho fatto allenamenti in altura per modificare naturalmente i miei valori, ho aumentato i carichi di lavoro e le ore passate ad allenarmi ma nonostante ciò vedevo passare a velocità doppia atleti che l’anno prima non mi stavano nemmeno dietro. Negli anni, però, ho imparato che non vale la pena arrabbiarsi. Col tempo l’atleta capisce che corre prima di tutto per se stesso, per migliorarsi, per crescere anche come uomo. E anche se, in definitiva, non ho vinto quanto avrei voluto la mattina posso guardarmi allo specchio ed essere felicissimo per quello che ho ottenuto e per come l’ho ottenuto. Ora mi piacerebbe ridare quanto ho ricevuto dallo sport ai più giovani per aiutare il movimento fondistico azzurro a crescere».
Un movimento che, da qualche anno, annaspa tra difficoltà climatiche e problemi economici e che ha ancora in Di Centa e Zorzi i suoi punti di riferimento. «Ma occhio a Pellegrino che è il talento più cristallino che ho visto, a De Fabiani, che ha un grande potenziale, e a Giandomenico Salvadori. Saranno loro - conclude The Champion – a guidare il riscatto del fondo azzurro. Io a 32 anni mi faccio da parte. Ma in Bondone ci tornerò di sicuro». Della serie: il primo amore non si scorda mai.
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