«Gianni voleva una foto dell’alba» e da quell’estate non fu più trovato
L' estate del'64 fu l'ultima vera estate della nostra vita. Fu l'ultimo momento in cui provammo piacere per le cose semplici, per le nuotate e per i sogni, l'ultimo respiro della giovinezza. Divenne lo spartiacque tra la stagione dell'incoscienza e quella adulta della realtà. In ogni caso ci parve eterna e avremmo voluto che l'aria sulla pelle, le grida di un gioco e le lacrime di un momento non finissero mai. E per più di due mesi fu proprio così, un paradiso a misura di ragazzino.
Poi, d'improvviso, calò la nebbia, che dal lago si fece largo tra le case e le strade e giunse in campagna, fin sotto le mie finestre. Ricordo bene quel giorno, era un sabato di festa e la gente, ancora ignara nel sonno, desiderava la spiaggia come un'oasi persa tra le lunghe ore di lavoro.
Noi del Rione eravamo già d'accordo, tutto pronto nelle borse e un'allegria che ci correva per la schiena animandoci forse più del dovuto. Quando guardai fuori, verso la montagna, eccola sparita tra le fauci lattiginose della nebbia. Vedevo a malapena il piccolo bazar oltre la strada e a fatica scorsi il vecchio che da una vita appendeva palloni e cianfrusaglie sui battenti del negozio.
Quasi mi avesse sentito si voltò sconsolato, alzò il volto scavato nella mia direzione e fece spallucce. Lo salutai e presi la cornetta, volevo sentire gli altri, forse qualche idea avrebbe salvato la giornata. Quando riappesi fui sorpreso che Gianni non avesse risposto. Era il primo a farsi sentire e il primo a proporre e a spingere l'intero gruppo. Non era un capo ma di noi tutti era certo l'anima, la pulsazione vitale. La giornata passò lenta e fiacca e così molte altre. I tersi cieli di fine agosto si trascinavano lenti, accorciandosi sempre più e Gianni non si trovava.
Decidemmo di scendere giù al porto, dove i suoi genitori avevano un negozietto di alimentari ma un cartello sulla saracinesca parlava chiaro: CHIUSO. Stavamo per voltarci quando il vecchio del bazar ci disse, guardandoci con apprensione, che Gianni era sparito. Sì, ripetè, proprio sparito. Era uscito una mattina, diretto in montagna, poi più nulla. "Voleva una foto dell'alba" concluse il vecchio. Tornammo a casa e ci separammo quasi in silenzio. Fu allora che l'estate morì.
Non ci incontrammo fino al suono della prima campanella, sui banchi di scuola, e in me nacque la consapevolezza della fine. Capii che tutto aveva una fine, nel bene o nel male. Non posso dire se anche gli altri provassero quel nodo nel petto ma sul loro viso delle ombre ne avevano piegato il sorriso in un'espressione quasi adulta, lontana dallo spirito di quell'estate. Come per un tacito accordo decidemmo di non parlare più di Gianni, come se il solo ricordo potesse risvegliare in noi la fastidiosa consapevolezza di essere ormai troppo grandi per sognare.
Passarono gli anni e Gianni non fu mai ritrovato. Ci perdemmo di vista e ognuno seguì la propria strada, tutti diretti nei nostri personali meccanismi.
Ora, con qualche capello in meno e qualche nipote a scaldarmi le ginocchia, guardo ancora fuori dalla finestra. E' calata la nebbia e cinge le robuste radici della Rocchetta, in un abbraccio che dura da giorni. So, che ora, è giunta per me.