Storie

«La prima volta in Cina a 17 anni. E adesso ci torno»

Dopo l’esperienza scolastica, Tiziano Kirchner di nuovo in Oriente per lavoro: «Questo paese e il teatro sono i motori della mia vita»


Serena Torboli


TRENTO. Per Tiziano Kirchner è quasi il momento di lasciare di nuovo Trento per tornare a Pechino: a trentacinque anni, ha già fatto talmente tanti soggiorni in Cina da avervi passato la maggior parte della sua vita da adulto. Per lui è ora di preparare di nuovo la valigia: è in Italia dall'agosto 2022, ma dovrà presto lasciare di nuovo il capoluogo trentino per tornare nella capitale cinese, dove vive e lavora nel mondo dell'educazione teatrale. Nato e cresciuto a Trento, mentre frequentava il liceo Galilei ha colto la possibilità di studiare un anno all'estero, grazie a una borsa di studio della Fondazione Caritro, e la sua scelta è caduta su Nanchino.

Tiziano Kirchner, come mai una meta così fuori dal comune a soli 17 anni?

È stata una scelta mia, dettata dalla curiosità. In realtà quell'esperienza si è rivelata abbastanza difficile e impegnativa: ho frequentato la scuola cinese, ho fatto anche l'addestramento militare e indossato le uniformi, grigie e bruttissime. Vivevo a Nanchino, ospite in famiglia, ed è stato un anno che mi ha messo alla prova. Eppure, in qualche modo è stato il motore per tornarci ancora e capire se potessi provare a sentirmi diversamente. Quando è capitata una nuova occasione di andare in Cina, avevo assorbito il colpo e avevo voglia di capire se sarei riuscito a integrarmi meglio.

Quante volte è stato in Cina, complessivamente? E in quali situazioni?

Ho perso il conto: otto o dieci volte ormai, un po' per studio e un po' per lavoro. La maggior parte delle volte ho vissuto in grandi centri: prima ho fatto sei mesi di gemellaggio con l'università a Guangdong, città capoluogo del Canton, vivendo in uno studentato. Nel 2011 per sei mesi ho lavorato in una zona più rurale, in paesini dove mi dicevano che ero il primo straniero a entrare da quelle parti. Anche se non so quanto fosse vero. A Pechino, ho preso la mia prima stanza in affitto, in una casa condivisa con altri ragazzi cinesi. Nel 2016 ho vissuto negli Hutong, le vie tradizionali di Pechino: è luogo affascinante, collocato proprio al centro di una capitale mondiale, eppure si vive la vita di un paesino, e ci sono persone che lavano i piatti nella fontana della via. Negli anni ho lavorato perlopiù nell'ambito dell'educazione teatrale, con studenti cinesi o internazionali in lingua inglese, di età relativa al periodo scolastico. E quando ho avuto la possibilità di entrare a scuola da insegnante, ho ritrovato un contesto che avevo già conosciuto da studente.

Si può dire che il teatro e la Cina sono i due motori della sua vita?

In un certo senso sì. La Cina, di fatto, è il luogo in cui ho passato metà della mia vita da adulto. E il teatro, che oggi occupa gran parte della mia vita, è stata una scoperta che ho fatto proprio a Pechino: nel 2012, quando ero appena arrivato, mi sono imbattuto in un'audizione per un musical amatoriale di "Oklahoma!", e per me è cominciato tutto così, senza alcuna formazione precedente.

Un provino? E l'hanno presa?

Sì. Con quella produzione ci siamo divertiti moltissimo, il gruppo era un cast di 30 persone, composto per la maggior parte da stranieri che vivevano tutti la stessa differenza culturale. Perché sì, magari c'è differenza tra l'essere di origine italiana, o inglese, o americana, ma quella differenza spariva rispetto alla distanza tra cultura occidentale e cinese.

Come si vive da straniero in Cina?

Nei confronti dello straniero c'è sempre molta curiosità da parte delle persone cinesi. Altri miei conoscenti hanno provato fastidio per l'eccessivo interessamento nei loro confronti. Nella mia esperienza, invece, di solito è una curiosità gentile, che ha a che fare con il desiderio di conoscere l'altro. Poi, la loro conoscenza di ciò che c'è a di fuori del paese dipende molto dall'età e dal background culturale di chi incontro, non tutti hanno la stessa consapevolezza. Mi è anche capitato che mi si chiedesse "Che lingua parlate voi all'estero?".

E lei lavora con l'inglese…

Ho fatto anche il lettore di inglese, proprio perché, nelle loro aspettative, il fatto che fossi straniero rendeva automatico che sapessi l'inglese. In realtà era davvero così, grazie alla mia famiglia che ha sempre spinto perché lo parlassi e lo conoscessi, ed è una fortuna perché ora lo uso tantissimo per il mio lavoro.

Come si è sviluppato negli anni il rapporto con il teatro?

Dopo il mio primo incontro con il teatro non ho più smesso e frequento tutti i generi. Nel 2017, ho scoperto il mondo dell'improvvisazione teatrale, entrando nel gruppo bilingue inglese-cinese, ed è stata una bella sorpresa, che mi ha fatto crescere sia dal punto di vista personale che artistico: negli anni ho anche preso parte a due corsi negli Usa, all'UCB Theater di New York e un altro a Los Angeles, oltre che uno stage con The Second City. E festival internazionali nelle Filippine e di Singapore.

E in Cina si è mosso molto?

Nel mio ultimo anno di soggiorno in Cina ho fatto anche uno spettacolo di divulgazione scientifica che ho portato in giro per tutto il paese, a dispetto dell'idea che la Cina sia stata chiusa per tutto questo tempo. Quello che amo tantissimo del teatro è poter esplorare mondi possibili: stai creando e non da solo. Uno spettacolo ha a che fare con l'estetica. Ma è come se avesse a che fare anche con qualcosa di morale: un momento di verità, di scoperta - che poi è ciò di cui si occupa tutto il teatro, ossia rispondere alla domanda "che senso ha la mia esistenza?". O almeno, per me, il teatro ha molto a che fare con questo: il teatro a copione perché va a scavare nell'animo, quello di improvvisazione perché vai a lanciarti nel vuoto assieme ad altri.

La sua vita a Pechino si svolge in un contesto decisamente multiculturale: cosa prova quando ritorna in Trentino?

Questa volta il rientro è stato meno traumatico del solito, forse perché ho imparato a circondarmi anche qui di persone che hanno hobby e interessi in comune con me. È vero che a Pechino, che è una grande capitale, sono a contatto con tante persone e tante idee, mentre a Trento le cose che non fanno parte del sentire comune possono spiazzare. Ma appena tornato qui, mi sono iscritto subito a corsi di danza e di improvvisazione, che sono luoghi in cui la diversità e la voglia di mettersi in gioco, perfino con le proprie parti più oscure, sono accettate e ben accolte. La mia percezione è che, in grande o in piccolo, le differenze ci sono sempre e ovunque. Trovo tante differenze con il vicino cinese, o con il vicino italiano, e lo stesso vale tra un italiano e il suo vicino del piano di sotto. Io non vedo una vera differenza di qualità nelle divergenze, magari solo nella quantità.













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