Italia, una Repubblica fondata sull’azzardo
Il gioco, le slot machine e le trappole per topi del “ludocapitalismo” nelle ricerche di Dow Shüll: «Gli oggetti sono bravi a creare dipendenze»
TRENTO. C’è un ambito economico nel quale l'Italia, paese che ha inventato il Lotto, è “leader” nel mondo: il gioco d'azzardo. Un primato che si sostanzia in un volume d'affari di 84,4 miliardi di euro all'anno (400 miliardi nel mondo), il 22% della spesa globale, gran parte dei quali provenienti da un esercito di circa 400 mila slot machine, una ogni 150 abitanti (negli Usa il rapporto è doppio). La famiglia media italiana spende in media 4 mila euro all'anno in scommesse (34 miliardi la spesa totale), di cui mille vengono persi al gioco. Il 22% della spesa globale del Paese se ne va in scommesse, una quota pari al 2% del Pil. Un fenomeno le cui dimensioni sono raddoppiate complice la crisi. Una piaga (secondo alcuni) che risana le finanze dello Stato, che non a caso considera le slot machine meno pericolose del gioco del ramino, che a differenza delle prime continua a figurare nella lista dei giochi vietati. Ma cosa si nasconde dietro la gigantesca «trappola per topi» rappresentata dalle slot machine lo ha spiegato Natasha Dow Shüll, antropologa culturale americana, che del tema ha parlato al Festival assieme agli economisti Marcello Esposito e Luigi Guiso.
Innanzitutto, quanto incassa lo Stato «biscazziere»? Dal 2003 al 2014 i volumi giocati sono arrivati nel nostro Paese agli attuali 84 miliardi di euro circa, le perdite dei giocatori toccano i 18 miliardi di euro l'anno, e di questi l'Erario incassa 8 miliardi.
Le ragioni di questo successo sono presto spiegate: con la liberalizzazione del 2003 si concede all'industria dell'azzardo di arrivare nei bar, nei circoli ricreativi, nei ristoranti. Oggi, a fronte di 923 comuni «no slot», ce ne sono 8057 che accettano le macchinette. Tutto ciò in un contesto penale in cui il gioco d'azzardo è considerato illegale (art. 718 Codice Penale).
«L'azzardo - afferma Esposito - ha una stretta correlazione inversa con il reddito delle persone, è altresì legato anche alla fragilità degli individui, ed anche alla qualità del tessuto sociale dei territori: laddove c'è maggiore volontariato si gioca di meno e viceversa (studio Banfield)».
Ma torniamo alla domanda iniziale: cosa c'è dietro questa industria in continua e crescente evoluzione tecnologica? Lo ha spiegato bene, con le sue apprezzate ricerche, Natasha Dow Shüll, che ha indagato a fondo la relazione fra progettazione tecnologica e l'esperienza della ludopatia, descrivendo come funziona la «trappola per topi» nei casinó di Las Vegas, dove le slot sono dappertutto, persino nei supermercati e dal benzinaio, e dove è pure cresciuta anche una industria terapeutica contro il gioco. «L'ingegneria della dipendenza - spiega - nasce dall'interazione tra il prodotto, la macchinetta, e la persona. Conta molto la biografia del giocatore, ma gli oggetti di per sé sono più o meno bravi ad attirare le persone. Le persone che giocano ripetutamente alle macchinette sviluppano una dipendenza tre quattro volte più velocemente di quanti scommettono ad esempio sulle competizioni sportive; le slot moderne creano dipendenza perché creano situazioni di gioco solitarie, è una zona autonoma in cui la propria vita sociale, il senso del tempo e del proprio corpo scompaiono».