«Il debito greco? Come i tedeschi»

La lectio di Piketty: dopo la Guerra si concesse alla Germania la ristrutturazione del debito. Perché ora lo si dimentica?



TRENTO. Prendete un pool di ricercatori (almeno 30) e metteteli ad analizzare i dati relativi alla distribuzione del reddito e della ricchezza di una ventina di Paesi nell'arco di tre secoli, risalendo fino al Settecento, ed avrete «Il capitale nel XXI secolo», l'ultimo libro di Thomas Piketty, un libro di economia che è diventato un best seller e che il professore di Economia alla Paris School of Economics ha cercato di riassumere all’Auditorium Santa Chiara. Ciò che ci si porta via dopo una siffatta lectio è che volgere lo sguardo al passato, proprio mentre ci stiamo ubriacando immaginando il futuro, è il più sobrio e intelligente antidoto allo smarrimento di senso nel quale ci ha precipitato la crisi. Perché così potremo mettere a nudo, ad esempio, l'ipocrisia di chi, senza concedere sconti sulla restituzione del debito oggi pretende di imporre rigore a Paesi in difficoltà, dimenticando di essere stati un tempo («giustamente», dice Piketty) beneficiati dopo l'ultima Guerra da una ristrutturazione del proprio debito e dimenticando anche di non averlo mai restituito. Ogni riferimento a Germania e Grecia non è, naturalmente, affatto causuale. Ciò che Piketty, dall'alto della sua monumentale inchiesta, arriva a dire è una doppia conclusione: primo, la disuguaglianza è andata via via aumentando nel corso dei secoli (e oggi è più marcata in Usa che non in Europa); secondo, c'è sempre stata e c'è un'alternativa, una soluzione diversa per ridurre il debito pubblico, per organizzare la risposta alla globalizzazione, perché la storia della disuguaglianza, così come quella della ricchezza, è anche una storia sociale e politica, in cui le istituzioni, con le loro politiche fiscali e monetarie, hanno un ruolo determinante. «La divaricazione sempre più marcata della forbice nel rapporto tra reddito e ricchezza - avverte Piketty - è un gap che dovremo sempre più affrontare in futuro. Oggi la ricchezza cresce più in fretta nelle mani di pochi rispetto alla moltitudine. In Italia in questo periodo la ricchezza privata cresce più in fretta di quanto stia calando il debito pubblico. Ci sentiamo in colpa, nella nostra Europa, per la montagna di debito pubblico che lasciamo in eredità alle future generazioni, ma non va dimenticato che lasceremo anche un sacco di ricchezza privata. I Paesi europei sono ricchi, sono i nostri governi che sono poveri. Anche se il governo italiano dovesse vendere tutti i beni pubblici, non basterebbe per rimborsare il debito; non consiglio di vendere i beni pubblici, ma dobbiamo sapere che in un certo senso lo stiamo facendo, perché quando si pagano interessi che sono più alti del valore del bene significa che in pratica lo stiamo facendo».

Far ripartire le aziende e le famiglie è la principale preoccupazione manifestata solo poche ore prima, sullo stesso palco, dal premier francese Valls. «È più facile stampare miliardi di euro piuttosto che cambiare il codice fiscale», risponde Piketty. «Il problema è che così si crea una bolla. La politica monetaria non è inutile ma abbiamo chiesto troppo a questo fronte, dovremmo pensare che è troppo complesso concentrarci solo sulla tassazione: se abbiamo inflazione zero, poca crescita, ci vorranno decenni per rimborsare il debito pubblico. Le misure adottate per ridurre le disparità non hanno funzionato, ci vogliono misure più realistiche, come una diversa tassazione sul reddito da lavoro rispetto a quello da capitali».













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