Confidi, porte aperte all’ipotesi della fusione
Rigotti (presidente di Confidimpresa): nell’attuale fase di economia in recessione dobbiamo cercare di esplorare tutte le strade per sostenere le nostre aziende
TRENTO. «Riprendere il discorso sulle fusioni? Ragionevole, anzi d’attualità. Con l’economia in recessione i confidi debbono esplorare tutte le strade per sostenere le imprese». È positiva la risposta di Giorgio Rigotti, presidente di Confidimpresa, alla sollecitazione del collega della Cooperativa artigiana di garanzia, Giuseppe Bertolini, per riesaminare le ipotesi di fusione tra gli enti di garanzia. Tanto più dopo l’iscrizione dei tre enti provinciali - il terzo è Cooperfidi - nell’elenco dei vigilati dalla Banca d’Italia ex articolo 107. «Dico sì alla proposta di Bertolini. Anch’io, come lui, constato che l’investimento fatto in formazione ed adeguamenti procedurali per soddisfare le esigenze della vigilanza, sinora non ha prodotto effetti significativi. Per carità, istruttorie e bilanci sono più rigorosi, ma quella pur limitata attività bancaria che siamo autorizzati a svolgere a favore degli associati, per ora non è decollata. I costi, invece, ci sono tutti», spiega Rigotti.
Porte aperte, dunque, al rilancio dell’ipotesi fusione. Scena già calcata, in verità, perché di matrimonio tra gli enti di garanzia provinciali si parla da lungo tempo. Qualche anno fa Cooperativa artigiana e Cooperfidi stavano quasi per celebrarlo, ma poi, ad un passo dalla conclusione, i cooperatori hanno fatto dietrofront. Terfidi e Confidi industriale, invece, la fusione l'hanno realizzata nel 2007 e con risultati soddisfacenti. «Se non avessimo fatto quel passo, non avremmo potuto garantire i riassetti dei mutui della prima manovra anticrisi della Provincia», conferma Rigotti. Le fusioni, insomma, servono. «Rafforzano il patrimonio di vigilanza, potenziano la struttura, abbattono i costi. Ma soprattutto consentono una visione del tessuto economico e dei rischi molto più ampia ed aderente alla realtà - osserva Sergio Anzelini, direttore di Confidimpresa - un osservatorio che spazi su industria, terziario ed artigianato cogliendo le interdipendenze, sarebbe in grado di valutare i rischi con più affidabilità. Le iniziali diversità nelle prassi istruttorie non costituiscono un problema, noi le abbiamo superate».
Nel caso di Confidimpresa e della Cooperativa artigiana, l’eventuale matrimonio avverrebbe tra dimensioni abbastanza equilibrate: gli associati della prima sono 4.000 contro 5.500, i dipendenti 28 contro gli 11 degli artigiani, il patrimonio di vigilanza di 23 milioni contro 23,5 milioni, gli affidamenti 217 milioni (su 498 milioni di mutui) contro i 100 milioni (su 181 milioni di mutui) delle imprese artigiane. «Bertolini accennava anche ad una collaborazione da realizzare con passi successivi. Apprezzo la prudenza, ma i tempi per valutare i pro ed i contro sono gli stessi. Tanto vale, se ci crediamo, puntare subito ad un confidi con 10 mila associati ed oltre 300 milioni di garanzie - rilancia Rigotti - il potere contrattuale che una simile realtà potrebbe esercitare nei confronti delle banche andrebbe a tutto vantaggio delle imprese. E, credo, anche la Provincia apprezzerebbe avere un unico interlocutore con cui parlare».
La sintonia tra Bertolini e Rigotti non significa, però, che il matrimonio sia solo questione di tempo. Già nel passato sono emersi ostacoli improvvisi, “patriottismi”di categoria o di sindacato. Anche se gli enti di garanzia, pur riferendosi sempre meno a specifiche categorie d’impresa, in realtà gestiscono fondi pubblici e debbono rispondere esclusivamente all’autorità di vigilanza, la Banca d’Italia, ed ai propri associati, non alle associazioni imprenditoriali.
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