l’intervista

Vincenzo Lorenzin, dalle Iti di Trento a capitano d’impresa

Un “ragazzo del ‘64” è riuscito a diventare il capo di un’azienda che fattura 100 milioni di euro

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FRANCESCHI «Le mie Iti raccontate dall’Ultimo Banco»
VICENTINI Una vita in Mondadori

 


di Daniele Peretti


CUNEO. Per Vincenzo Lorenzin i tempi delle Iti sono ormai un lontano ricordo, ma quella scuola è stata un trampolino di lancio verso il suo ruolo imprenditoriale di primo piano che lo ha portato ad essere a capo di un’azienda che fattura 100 milioni di euro con 450 dipendenti: la Simplast di Narzole in provincia di Cuneo.

In quell’intuizione che ha fatto la sua fortuna, in cosa può aver contributo la scuola? “In quegli anni ci hanno accompagnato a conoscere le novità proprie di un’epoca in continua evoluzione, ma bisognava anche essere curiosi e aver voglia di conoscere”.

Adesso l’intuizione. “Preso il diploma nel 1964 sono andato a lavorare per sei mesi in Svizzera come operaio, tornai in Italia per essere assunto da una ditta che lavorava la gomma con la quale ho cominciato ad andare alle fiere. Fu alla Enplast nell’edizione del 1973 che vidi una macchina prodotta negli Stati Uniti con la quale si realizzavano dei serbatoi in plastica utilizzati sui carri armati per la loro duttilità, leggerezza e resistenza agli urti”.

A cosa pensò? “Al fatto che in Italia tutti i serbatoi erano in acciaio, compresi quelli ad uso agricolo. Puntai a quel settore. Insieme ad altri due soci acquistammo la macchina ed iniziammo la produzione”.

Come andò? “Da fame. Il primo serbatoio ce lo commissionarono nel 1976. Il primo problema era quello di trovare un’azienda disponibile a cambiare completamente la produzione affrontando un mercato legato alla tradizione con una soluzione rivoluzionaria”.

Troppo poco però per continuare a lavorare sul progetto. Gli altri due soci si ritirarono e Vincenzo Lorenzin rimase da solo. “Col conforto però che il mercato reagiva, voleva dire tanto alleggerire i mezzi con un serbatoio che pesava otto volte meno rispetto a quello in acciaio permettendo al motore di sfruttare una potenza superiore. Il gruppo comincia a crescere e crea delle unità produttive vicino a quelle dei nostri principali clienti. La gestione nel frattempo è diventata famigliare”.

Un ricordo delle Iti? “Scelsi l’indirizzo elettrico, ma si trattava di una scuola che ti insegnava tecnica e tecnologia creandoti una cultura industriale trasversale che per me, ma come anche per molti miei compagni, è stato un aspetto fondamentale nel loro sviluppo professionale”.

Un ricordo degli insegnanti? “Certamente il professore di Elettronica Viola e Chemolli di Italiano. Posso dire un’ultima cosa?" Certo: “La mia fortuna fu anche quella di non essere pendolare abitando a Cognola. La scuola era molto pesante e c’erano i compagni che si alzavano alla mattina molto presto, altri che studiavano sulle panchine della stazione arrivando a scuola stanchi e trafelati, cosa che fortunatamente a me non è mai successa”.













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