Medico sensibile e anima socialista
Il ritratto di Tessadri: un approccio quasi psicologico, ascoltava molto i pazienti
ALA. Morte di un amico. Sono andato a trovare Albino Mayon Kuel una ventina di giorni fa alla casa di riposo di Avio. Era la fine dell’anno. Le sue condizioni fisiche non presagivano nulla di buono. Appena mi ha visto, ha subito sorriso, era il suo modo per darmi il benvenuto. Gli ho chiesto se aveva letto l’articolo del Trentino sulla donazione della sua biblioteca al Museo storico. Ha annuito, non parlava più dal giorno della malattia, quando lo ha anche privato del lavoro di medico, che era la sua vita. Arrivato alla Casa di riposo, una delle assistenti mi disse: “Non capisco perché qualcuno mette in giro la chiacchiera che il medico non vuole avere visite. Anzi, gli fa molto piacere. Dica che possono venirlo a trovare”. Insomma, Albino era riuscito ad entrare in sintonia anche i dipendenti, ma francamente non mi aveva sorpreso. Era la sua natura mite: rifuggiva dagli scontri, preferiva ascoltare e capire, anche in politica, da assessore. Settimane fa ho ricevuto una lettera da Renzo Debiasi, ex assessore di Avio, che scriveva: “Sono venuto a conoscenza del suo articolo, un vivo ringraziamento a nome mio, di Myrian, Agostino e soprattutto del dottor Kuel”. Myrian e Agostino sono i figli del medico sudanese. Debiasi è rimasto accanto alla famiglia Kuel anche nei momenti difficili. E ce ne sono stati, a volte molto duri da superare. Non voglio ripercorrere le cose già dette e scritte, che è stato il primo profugo politico in Trentino per motivi religiosi, che era un professionista super specialista in varie branche della medicina, che era cordiale e disponibile. Scrivo di alcuni aspetti e momenti della sua vita meno conosciuti. Quando ottenne la condotta ad Ala c’era molta diffidenza nei suoi confronti. Era uno di colore, un nero. Oggi non ci facciamo caso, ma 50 anni fa era diverso. All’inizio i suoi pazienti erano coloro, pochi, che non avevano trovato posto presso altri medici della mutua. I miei genitori lo scelsero fin dall’inizio per tutta la famiglia. Il rapporto fu da subito molto cordiale, benché la fiducia se la conquistò con il tempo. Non era certo un compulsivo sottoscrittore di ricette ed esami. Aveva un approccio quasi psicologico e le visite iniziavano con un sorriso. Sorrideva sempre, ascoltava e non si faceva prendere dalla fobia del tempo. Quando un paziente entrava nel suo ambulatorio, si alzava in piedi e gli stringeva la mano. Uomo di cortesia e sensibilità. Poi si immergeva in un silenzio e ascoltava, prima di parlare. Era un buon ascoltatore. Anche fra i pazienti c’erano rompiscatole e gli ipocondriaci, lui, quando li incontrava, trattava tutti allo stesso modo e assumeva una veste professionale. Mai ascoltava svogliato o facendo altro: il paziente meritava tutta la sua attenzione. Ce ne furono momenti dolorosi, eccome. Quando il cardiologo Furlanello lo voleva nella sua équipe al Santa Chiara, ma dovette rinunciare per la mancanza della cittadinanza. Quando rischiò il rimpatrio forzato in Sudan, dove sarebbe stato ucciso. Per fortuna Sandro Pertini firmò la cittadinanza italiana. Quando la moglie si ammalò, quando dovette stare accanto alla famiglia e ai figli con sempre maggiore presenza. Ma una cosa mi stupì sempre: non ho mai sentito da lui una sola parola di rammarico e di imprecazione per la sorte. Il sorriso c’era sempre. Quando ci vedevamo, prima delle parole c’era infatti un sorriso e non certo di circostanza. C’è stato un periodo che mi parlava spesso di politica, di politici, di programmi elettorali e per chi votare. Poi si candidò con la Margherita e divenne assessore alla sanità ad Ala. Aveva un collega che stimava e con il quale entrò in confidenza, il medico Enrico Bertè, che gli è sempre accanto. Bertè era stato, brevemente, un politico Dc e questo credo abbia influenzato la scelta di scendere in politica. Anche se Kuel aveva un’anima socialista. Lesse con avidità il volume su “Il Merito e il Bisogno”, che riassumeva gli interventi al seminario socialista di Rimini del 1982, voluto da Claudio Martelli. E l’azione riformatrice di coniugare il merito e il bisogno fu la traccia del suo percorso politico.
Un giorno a Rttr l’esponente leghista Maurizio Fugatti si scagliò contro l’immigrazione. Gli ricordai che al suo paese di Avio vive Albino Kuel, che era stato un rifugiato politico. Il leghista espresse parole di sincero apprezzamento nei confronti del dottore sudanese.
L’Africa non l’ha mai dimenticata e un giorno parlammo a lungo del sacerdote comboniano, aviense, Fulvio Cristoforetti, morto anni fa per Aids. Un’icona dei missionari trentini. Cristoforetti contrasse l’aids per colpa di una trasfusione di sangue infetto in Uganda, dopo che era stato vittima di una sparatoria. Ritorno all’amico di Kuel, Enrico Bertè, che credo sia stato ispirato a quella amicizia quando decise di fondare il gruppo missionario “Ala-Kipengere”, che opera in Tanzania e che ha finanziato scuole, servizi sanitari e molto altro. Questo aspetto li univa e li unisce per sempre. Albino Mayon Kuel ha curato la “razza” bianca, Bertè aiuta la gente di colore. Ma la razza bianca non fu mai un discrimine per Albino, forse lo è per qualche poveraccio politico.