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Villa Rosa, le immagini della vergogna

Dopo la chiusura nel luglio 2013, all’ex centro di riabilitazione regna il degrado: infissi divelti, cavi staccati e vetri infranti


di Roberto Franceschini


PERGINE. Diciamo la verità: quando in tv appaiono servizi sui degradi delle strutture pubbliche, specie nel corso della nota trasmissione di Canale 5 “Striscia la notizia”, ci scandalizziamo non poco e imprechiamo contro il politico di turno o, peggio ancora, contro quanti abitano a meridione dei nostri confini provinciali, convinti che certe situazioni si verifichino solo altrove, mentre da noi tutto ciò non può neppure lontanamente accadere. E invece la realtà è ben diversa. Basta andare a “curiosare” quanto è rimasto ancora in piedi nell’ex centro di riabilitazione Villa Rosa al Dos del Zucàr, dove torreggiano i curiosi edifici dell’ex Villa Giulia, denominata poi Villa Dalla Rosa. Eretta nel 1912 dall’eclettico costruttore e architetto Eduino Maoro originario di Brazzaniga, su incarico del marchese Vittorio Napoleone Dallarosa, durante la Prima guerra mondiale venne adibito a comando militare austro-ungarico e importante supporto logistico per il sottostante aeroporto al Cirè per l’Imperial Regia aviazione. Già convalescenziario dal 1956 quale affermato centro rieducativo dell’Inail, quindi, dall’aprile 1972 come ente ospedaliero autonomo specializzato per motulesi e neurolesi, è infine passato all’Azienda sanitaria.

A Villa Rosa regna il degrado

L'ex centro di riabilitazione di Pergine ridotto in stato di abbandono, fra detriti, calcinacci e quadri elettrici scardinati

In una posizione a dir poco splendida, a monte del Maso Grillo dove il torrente Fersina scorre nel suo tratto terminale dell'Alta Valsugana, con ampia veduta occidentale verso le Dolomiti di Brenta, da nemmeno due anni la struttura sanitaria è stata abbandonata al suo destino, dopo l’inaugurazione il 20 luglio 2013 del nuovo centro riabilitativo “Villa Rosa” nei pressi dell’ex ospedale psichiatrico. Da allora, la struttura è stata semplicemente depredata di ogni seppur minima cosa di valore. Uno “spettacolo” di infissi divelti, cavi elettrici staccati da ogni contatore elettrico (il rame vale infatti come l'oro), termosifoni scardinati, pavimenti e soffitti scoperchiati, sale di attesa e ambulatori abbattuti, la piscina adibita all’attività riabilitativa ridotta a discarica, ovunque vetri infranti, il locale caldaia spogliato delle tubature e la chiesetta dedicata alla Madonna saccheggiata di ogni immagine sacra. E che dire delle eleganti sale d’aspetto e da pranzo, con ampio panorama la sottostante valle, dai pregevoli pavimenti in legno antico? Per non parlare poi delle attrezzature in dotazione nella cucina e nella lavanderia, delle stanze dove si effettuavano le cure fisiche e in quelle di degenza. Abbandonato anche l’ampio parco e le passeggiate esterne, che un tempo erano frequentate da pazienti e loro familiari, invase da sterpaglie e da rifiuti d’ogni genere. Un luogo talmente degradato che nemmeno qualche disperato ci va a dormire abusivamente.

Questo bene pubblico doveva essere tutelato, riadattato quantomeno per degli usi sociali, non certamente abbandonato in questo modo e alla mercé di chiunque. Uno schiaffo quindi alle coscienze di quanti si prodigano per la tutela dei beni pubblici, oltre al danno arrecato a questo prezioso patrimonio architettonico, passato indenne da due conflitti bellici mondiali ma non dalla stupidaggine dell'uomo, e dall’inestimabile valore naturalistico e paesaggistico. Un tempo vanto della sanità pubblica provinciale, oggi ridotto a mal partito, come molte, troppe strutture pubbliche in altre regioni italiane. Che mai avremmo pensato di fotografare in Trentino, dove spesso ci riteniamo, a sproposito, i primi della classe.

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