Uno striscione già nel 2006: «Salvatele» 

Era l’epoca in cui era ancora lecito sognare, in una città dove la politica arriva... 12 anni dopo


di Andrea Selva


Ma che città è Trento dove gli appelli e le proteste precedono di oltre un decennio i tempi del dibattito politico? Una città lenta, una città che dorme, una città vecchia, una città che vive di rendita (finché dura, ma forse è già finita), pensatela come volete e restiamo ai fatti: era il 4 aprile del 2006 quando qualcuno (rimasto ignoto, probabilmente più persone) si arrampicò lungo le scalette delle ciminiere dell’Italcementi, per stendere uno striscione e lanciare un appello alla città: «Salvatele».

Lo striscione gigante (una decina di metri almeno) restò disteso lassù solo per mezza giornata - tanto che solo il Trentino, il giorno successivo, diede notizia del blitz - finché una folata di vento lo strappò da un lato, lasciandolo penzolante da uno solo dei due camini. Così lo trovò, il giorno dopo Diego Schelfi, il presidente della Cooperazione, all’epoca proprietaria dell’area, che arrivò sul posto preoccupato che qualcuno potesse rischiare la pelle nel nome dell’architettura industriale.

Non si fece male nessuno. E non successe niente. Il giorno dopo l’assessore all’urbanistica (che all’epoca era l’attuale sindaco Alessandro Andreatta) rassicurò gli ignoti scalatori dell’Italcementi: «Vanno conservate, lo dice il Prg». Ma il piano regolatore prevedeva anche una tutela per il corpo centrale dell’ex stabilimento industriale (il cosiddetto “sigaro”), che venne abbattuto negli anni successivi perché troppo ingombrante: «La riqualificazione dell’area non ha senso con quel volume in mezzo» dissero i consiglieri comunali. E ora tocca alle ciminiere che sono diventate pericolanti (e quindi troppo costose per essere conservate) quando l’ente pubblico le aveva già acquistate.

E dire che all’Italcementi - ridotta a una spianata polverosa che accompagnerà l’ingresso a Trento chissà per quanti anni ancora - qualcuno aveva accarezzato uno sogno: era il martedì grasso del 2006 (un mese prima che gli scalatori entrassero in azione) quando il presidente Schelfi aprì i cancelli dell’area per una festa come a Trento non si era mai vista. Anche il suo volto, quella sera, non si era mai visto così teso per la paura che succedesse qualcosa, ma almeno il presidente trovò il coraggio di regalare alla città un’emozione. Poi più nulla. Conosco una persona che, con un certo coraggio pure lui, aveva preso casa proprio lì di fronte: «Diventerà una zona bellissima» diceva. Ma ora si è trasferito in collina, rassegnato all’idea che la Tate Modern Gallery (con la sua ciminiera alta novanta metri) si possa fare solo a Londra. Noi ci accontentiamo delle “gallerie” di Piedicastello, che pure sono il risultato di una grandissima visione. Basta così. Pensiamo solo a quant’è grottesca l’idea che qualcuno si arrampichi su una scaletta, preoccupato dell’architettura della città con (quasi) 12 anni d’anticipo sui politici. Non serve aggiungere altro.













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