«Una Caritas missionaria, non solo erogatrice di servizi»
Il colloquio. Don Cristiano Bettega, da pochi mesi alla guida dell’ente diocesano, indica la nuova strada da seguire: «L’efficientismo fa parte del mondo. Ma noi dobbiamo soprattutto dare risposte all’essere umano e alle sue fragilità»
Trento. Che la Chiesa del Terzo millennio sia destinata a essere - o a tornare ad essere - “missionaria” lo dice Papa Francesco quasi a ogni occasione: è ormai un “mantra”, per rubare il termine a un’altra religione. Ma che cosa significa nel concreto? Rispetto, ad esempio, al tema dei poveri o dell’immigrazione? Se lo chiediamo a don Cristiano Bettega, da pochi mesi delegato vescovile dell’area diocesana Testimonianza e impegno sociale - e quindi responsabile della Caritas, della Fondazione Comunità solidale e di un grappolo di altre importanti realtà diocesane - la risposta è secca: «Chiesa missionaria è, o almeno dovrebbe essere, una Chiesa che agisce nel mondo in modo diverso rispetto al mondo. Seguendo la logica del Vangelo. Con una attenzione non all’efficientismo, ma all’essere umano e alle sue fragilità».
Educare alla carità
Il problema sta tutto in quel condizionale: dovrebbe essere. «Sì, a volte ci comportiamo guardando al risultato. Ma il Papa ce lo dice continuamente: “la Chiesa non è una Onlus”». Nemmeno la Caritas lo è. «Nemmeno la Caritas. Da una parte, dobbiamo puntare a una educazione alla carità: per cui non posso continuare a dare soldi o aiuti a una persona, devo cercare di insegnargli a diventare il più possibile autonomo. Ma come mi comporto con le persone fragili, incapaci di gestirsi? Le metto alla porta? Il Vangelo non mi insegna questo».
Se è per questo il Vangelo insegna anche ad accogliere tutti. Anche gli immigrati. Don Bettega sorride: sa che il tema è di quelli incandescenti, visti i tempi. «Il nostro modello resta quello dell’accoglienza diffusa sul territorio. Crediamo che comporti molti meno disagi e meno rischi per tutti». La Provincia, su questo, ha già risposto picche. Ma Caritas e Centro Astalli - è cronaca recente - hanno comunque ottenuto di poter gestire direttamente l’accoglienza di 250 migranti, non solo a Trento e Rovereto come vorrebbe la nuova giunta provinciale, ma anche in alcune canoniche sparse nel Trentino. «Non è stato un accordo facile, quello ottenuto a fine marzo con il presidente Fugatti -commenta il responsabile della Caritas -Abbiamo dovuto sollecitare molte volte a riceverci».
Dalla musica a Dio
Don Cristiano Bettega non “nasce” prete. Anzi. La sua prima vocazione era quella musicale. Nato nel ’67 a Imer, in Primiero, scopre ben presto una passionaccia: per il pianoforte. Arriva fino al diploma in Conservatorio. «Ero destinato a fare il musicista» confessa, e gli brillano ancora gli occhi. Ma quando scopre la fede - diventa sacerdote nel ’98, a 31 anni - non ce n’è più per nessuno, neanche per il pur amatissimo pianoforte.
Da lì in poi è un crescendo di studi, di impegni e di responsabilità. Dopo il dottorato in teologia dogmatica a Francoforte, presso la Hochschule Sankt Georgen nel 2006, dal 2007 al 2013 è responsabile della pastorale vocazionale per I'arcidiocesi di Trento. Docente di dogmatica - si divide fra le cattedre di Trento, Bolzano e Francoforte - da ottobre 2013 è stato direttore dell'ufficio nazionale per I'ecumenismo e il dialogo interreligioso della Cei, la Conferenza Episcopale Italiana.
La chiamata del vescovo
Poi, lo scorso anno, quando stava per essere riconfermato in quella carica per altri cinque anni, ecco la chiamata di don Lauro alla guida di una delle quattro aree in cui tutta l’attività della Diocesi di Trento è stata riorganizzata. Questo porta don Bettega a prendere in mano le redini della Caritas e della Fondazione Comunità solidale (che operativamente sono affidate ad Alessandro Martinelli), dell’ufficio Pellegrinaggi (gestita da Claudia Dorigoni), della Pastorale delle migrazioni (dove ritroviamo Roberto Calzà, fino a ottobre scorso direttore della Caritas), dell’ufficio Ecumenismo e della Pastorale del lavoro, destinata quest’ultima a essere assorbita dalla Caritas.
L’elenco delle incombenze, per don Bettega, è molto lungo. Sicuri che non fosse meglio prima, quando ogni ufficio aveva un suo responsabile e proprio personale? «La situazione precedente rispondeva a una logica diversa, figlia di una tempo in cui molta più gente era legata alla vita della Chiesa. L’assetto funzionava bene, era appunto efficiente. Ma c’era il rischio di una autoreferenzialità eccessiva, a volte i vari uffici fra loro non dialogavano e non collaboravano. La nuova logica è quella di lavorare per temi trasversali, a cui tutte le varie anime della Chiesa trentina sono chiamate a collaborare».
La chiesa missionaria
Un esempio di tema trasversale? «La missionarietà, quella Chiesa in uscita immaginata da papa Francesco. Che infatti per il prossimo mese di ottobre, tradizionalmente dedicato alle missioni, ha chiesto uno sforzo straordinario per immettere questo tema nella vita vera e quotidiana di tutta la Chiesa».
Quattrocento volontari e circa ottanta operatori: sono i numeri della Fondazione Comunità solidale, braccio operativo della Caritas, che di per sé è semplicemente un ufficio diocesano (a cui spetta di elaborare le linee guida, anche teologiche, dell’agire fra gli ultimi) con un solo dipendente fisso, il coordinatore Alessandro Martinelli. Numeri importanti, quasi un piccolo “esercito” dedito ai malati, ai poveri, agli immigrati. La cui età media però è un po’ altina: i giovani, da qualche anno, scarseggiano. «Stiamo cercando di creare occasioni per coinvolgerli, per stimolarli a diventare gli operatori e i volontari del futuro: ad esempio, facendoli partecipare a pellegrinaggi a Lourdes come barellieri, facendoli avvicinare ai malati negli ospedali, inviandoli dai nostri missionari per un’esperienza estiva». E funziona? «Per fortuna sì. I giovani trentini hanno molta fame di questo tipo di esperienze».
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