Un ciclone «silenzioso» chiamato Luca Carboni
Dalla A alla Z, ecco perché il cantante bolognese è ancora al top dopo trent’anni
A come amore, quello cantato in tutti i modi nelle canzoni di Carboni. Struggente, difficile, intenso, malinconico, ironico, impossibile. Ma alla fine sempre dannatamente bello.
B come Bologna, il vero centro del mondo di Luca Carboni, città verace e sanguigna, dove la grande musica ha sempre albergato, da Lucio Dalla agli Stadio, da Claudio Lolli agli Skiantos: citofonare in via Paolo Fabbri 43 per una conferma.
C come Curreri, il Gaetano da Bologna che con il suo gruppo – gli Stadio – ha contribuito alla nascita del “fenomeno Carboni”. All’Osteria da Vito, quando il neppure ventenne Luca si presenta con i fogli dei testi delle sue prime canzoni, Curreri assieme a Dalla “scritturano” quasi in diretta il ragazzino dandogli l’incarico di scrivere nuovi testi per il disco degli Stadio. Quando l’Osteria è meglio di youtube...
D come Dustin Hoffman, l’attore “protagonista” del suo album d’esordio esattamente trent’anni fa. “Intanto Dustin Hoffman non sbaglia un film” cantava Luca, ma in realtà è stato Luca Carboni a non sbagliare neanche un disco, mentre il vecchio Dustin qualche “ciofeca” l’ha pure messa a segno.
E come Elisa, una delle protagoniste assolute nei duetti di un album celebrativo che ha avuto la forza di cambiare pelle alle canzoni carboniane. Quando l’ugola diventa una vera e propria «arma bianca».
F come fisico (politico, ma anche bestiale), e pure come Fabri Fibra. Quel duetto tra musica d'autore e rap in “Fisico e politico” ha dimostrato che anche nella musica non esistono più confini, e che dagli incontri “impossibili” può nascere un brano capace di scalare le hit parade.
G come generazioni, quelle cresciute a “pane e Carboni” e che ancora oggi si sciolgono come neve al sole se solo sentono le prime note di “Farfallina”, tornando con la memoria ai vent'anni che non ci sono più. Ragazzini (romanticissimi) dentro.
H come “Ho visto anche degli zingari felici”, vecchia canzone di Claudio Lolli diventata un “disco ribelle” di Carboni. Perché le radici, quando sono solide, fanno crescere alberi forti e rigogliosi.
I come inno, quello nazionale cantato da Carboni con grande successo nel 1995. Dove si parlava di quelli che “son troppo altoatesini, e anche se è caduto il muro abbiamo sempre troppi confini”. Di stringente attualità.
L come Lucio Dalla, l’anima di una Bologna artistica unica e irripetibile (e che ci manca davvero tanto), dove i dischi nascevano naturalmente in mezzo al fumo di un’osteria e non “costruiti” dentro le sedi delle multinazionali della musica.
M come musicassetta, il formato in cui “nacque” il primo disco di Luca Carboni nel 1984. Dal vinile al compact disc , passando per gli mp3 e i supporti “liquidi”, la musica si è trasformata velocemente come supporto. Ma le emozioni delle sue canzoni, quelle sono sempre le stesse.
N come notorietà, quella che Carboni ha sempre cercato di aggirare. A trent’anni di distanza possiamo proprio dirlo: il suo essere non-personaggio e sfuggire alle regole dello show business fanno capire che un’altra via è possibile. Basta solo continuare ad essere se stessi.
O come. Ottanta, gli anni dell’esordio e della esplosione di Luca Carboni. Anni frivoli, si è detto, anni dove il pop (nella peggiore accezione del termine) aveva soppiantato il rock (nella migliore accezione del termine) in cima alle classifiche. Se Carboni è sopravvissuto ai “terribili” anni Ottanta, è perché già allora aveva un Dna diverso e immune: più vero, più ironico, più tosto.
P come PalaDozza, un luogo che sarà ricordato a lungo. In quel palazzetto, a Bologna, il 20 dicembre scorso Carboni ha portato sul palco quasi tutti i suoi amici artisti (Jovanotti, Tiziano Ferro, Samuele Bersani, Elisa, Alice, Gianni Morandi, Ron, Andrea Mingardi) per un concerto destinato a entrare nella storia.
Q come qualità, quella che Carboni ha sempre messo con impegno nella sua musica. Anche quando sembravano “solo” frivole canzonette, e non solo quando la critica l’ha «riabilitato» dopo qualche anno.
R come rap, un genere così lontano ma così vicino. Fabri Fibra ha contribuito al successo di Fisico e politico, e Carboni è stato aiutato dal rap restituendo virtualmente il favore che aveva fatto nell’anno di grazia 1992 quando – dall’alto del primo posto assoluto in classifica – si era portato dietro in tour un allora acerbo Lorenzo Jovanotti.
S come silenziosi, i suoi veri fan che – come lui – non fanno rumore e non sgomitano per raggiungere il successo nella vita. Persone silenziose, appunto. Ma dannatamente vere.
T come tempo, quello che Luca Carboni ha deciso di prendersi senza mai scendere a compromessi. Cantante slow food e anche un po’ pigro, ma nel senso migliore del termine. D’altronde l’aveva cantato nel suo brano d’esordio, Ci stiamo sbagliando ragazzi: “Vedi com’è bella la vita, basta andare più piano”. Non ha più cambiato idea.
U come universale, il linguaggio che Luca Carboni ha voluto esplicitare con un disco che fu chiamato proprio “Mondo world welt monde”, e che scalò le classifiche non solo in Italia ma anche in Olanda, Germania e Argentina. Perché non serve cantare “pizza e mandolino” per diventare una star universale.
V come “Vieni a vivere con me”, successo gigantesco in anni in cui parlare di convivenza era fortemente vietato. E ora, nella felicissima versione in duetto con Elisa, torna in tutta la sua attualità: “Contro la noia della tv, guardare solo la pubblicità”. Alzi la mano chi non l’ha mai pensato almeno una volta, vedendo certi reality che inondano in prima serata i palinsesti di Nostra Signora Televisione.
Z come Zocca, paesino al confine tra Modena e Bologna diventata famosa per aver dato i natali a Vasco Rossi e al suo compianto chitarrista Massimo Riva. Lassù in collina, tra Zocca e Savigno, ci vive anche Luca Carboni, in simbiosi con i ritmi lenti delle giornate collinari tra scultura, restauri artistici e agricoltura. In collina, come ha fatto tanti anni fa anche uno dei suoi maestri come Francesco Guccini. In collina, tra il tempo che si perde e la tranquillità, perché magari passano anche dei mesi senza che Carboni tocchi una chitarra, in attesa dell’ispirazione giusta, che poi arriva improvvisa. E splendida.