«Troppi malati di gioco, tolgo le slot dal bar»

Ivan Fontana non ha più i videopoker nel suo locale: «Vedevo gente farsi del male»


Chiara Bert


TRENTO. «Se uno esagera con l'alcol, ho qualche possibilità di fermarlo. Con il gioco no, è diverso. La gente non si ferma. E così si rovina». Ivan Fontana, gestore del bar Perini, ha preso una decisione forte: ha tolto le due slot machine che aveva nel suo locale. Al loro posto quiz e sudoku da 1 euro a partita. Ha rinunciato a un guadagno da 20 mila euro l'anno. «Ora spero che i clienti capiscano».

Ivan Fontana, 42 anni, gestisce il bar di via Perini dal 2009. Siamo a San Pio X, quartiere popolare, via di uffici e qualche negozio. Molto passaggio, «ma qui non siamo nel Giro al Sass - avverte Fontana - qui i clienti devi tenerteli stretti altrimenti rischi di chiudere».

Fontana, com'è arrivato alla decisione di togliere le slot machine? Da quanto tempo le aveva installate al bar?
Ho preso in gestione il bar nel 2009. Le ho messe subito, all'inizio. Era la prima volta, si guadagnava bene. E il gioco da parte dei clienti mi sembrava un'attività normalissima, uno svago come un altro dopo il caffè.

Quando ha notato che qualcosa stava cambiando?

Nell'ultimo anno. Mi sono accorto che per tanta gente il gioco era ormai a livelli compulsivi, stava diventando una malattia. Vede, se una persona entra al bar e comincia a bere troppo, io come barista ho qualche possibilità di intervenire. Il mio compito è parlarle, distrarla, provare a farla desistere, inventarmi una scusa per evitare di continuare a servirle alcolici. Ma con il gioco è tutto diverso.

In che senso diverso?
Chi gioca non si ferma, non sente ragione. Soprattutto, è difficile se non impossibile per me intervenire. Se dici qualcosa la risposta tipica che può arrivarti è: "Sono soldi miei". Ti zittiscono così.

Chi erano i giocatori del suo bar?

Direi dai quarantenni in su. Anche anziani, donne soprattutto, le stesse che puoi trovare a giocare anche all'edicola: si vede che si vergognano, preferiscono quando la slot machine è appartata. L'idea che mi sono fatto è che si tratta di persone deluse e forse sole, che si guardano indietro e hanno la sensazione di non aver costruito niente. Così si affidano al gioco, alla fortuna.

Con la speranza di cambiare vita, come promette la pubblicità?

Sì, probabilmente è così. La pubblicità in questo senso influenza molto, in questo momento di difficoltà economica soprattutto. I dati del resto lo dimostrano: paradossalmente, più povertà c'è e più aumenta il gioco d'azzardo. E poi se vinci una volta, sei drogato e continui. Non c'è niente che ti ferma.

Cosa l'ha spinta a togliere le macchinette?

Voglio chiarire una cosa: io non sono contrario alle slot machine in sè, tanto che le avevo messe nel mio bar. Va benissimo che ci siano le sale giochi, il problema è evitare di installare macchinette ovunque. Perché se ho una figlia robusta, non la metto di fronte a un tavolo pieno di cioccolata. La stessa cosa vale per il gioco. Trovarsi un videopoker davanti, per chi è fragile, diventa un incentivo potentissimo ad usarlo. E siccome la slot paga, nel 75% dei casi, continui a giocare e non ti fermi.

Quanto arrivavano a giocare in denaro i suoi clienti?

Non saprei dire, ma vedevo gente sempre più assuefatta. Per un mio amico è diventata una malattia e ci è ricascato. Allora l'anno scorso ho deciso e ho tolto una delle due slot. L'effetto si è visto rapidamente, il guadagno si è dimezzato.

Poi ha deciso di togliere anche la seconda...

Sì, i clienti si erano già accorti che a me dava fastidio. Al posto dei videopoker ho messo Photoplayer, che poi sono i giochi di una volta. Un euro a partita, ci sono i quiz, il sudoku... La gente mi pare che si diverta. Credo che se facessero la playstation da bar sarebbe bello, un modo per socializzare e rilassarsi.

Preoccupato per l'impatto sugli incassi?
Sono diminuiti, indubbiamente. Ma al di là degli incassi, mi dispiace per chi giocava con il resto del caffè, in modo tranquillo, per divertirsi qualche minuto. Spero che la gente comunque alla fine capisca. Sa, qui siamo in periferia e i clienti te li devi tenere ben stretti.













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