Trento: storie di povertà ai tempi della crisi

I racconti di chi vive in strada: «Siamo barboni tecnologici, con pc e wi-fi»


Jacopo Tomasi


TRENTO. Soli e invisibili. Si sentono così Damiano, Roberto, Alessandro e Leo. Seduti su una panchina fuori dal Punto d'Incontro di via Travai, dopo aver mangiato minestrone, tonno, polpette e fagioli assieme ad altre 150 persone, raccontano le loro vite in strada. Tra notti al freddo, occhiatacce della gente, ma anche sorrisi e la speranza in un futuro diverso. La soglia di povertà, che nel 2009 in Trentino è stata di 8.820 euro, per loro è un miraggio. Damiano, 28 anni, l'anno scorso era in carcere e non ha avuto reddito. Leo, marmista, e Roberto, ex addetto alla manutenzione dei binari, rispettivamente 35 e 48 anni, dicono di aver guadagnato circa 5.000 euro in un anno, tutti in nero. Alessandro, 32 anni, ci tiene ad essere preciso. Tira fuori il Cud: l'anno scorso grazie ad alcuni lavori socialmente utili ha messo in banca 1.498 euro. Con queste cifre, con il lavoro che per la crisi non c'è più e non si trova, non si può vivere. Così, la strada è diventata la loro casa. «Ogni giorno è un'avventura», raccontano. «Cerchiamo qualcosa da fare, un'occupazione, ma non si trova niente». «Per fortuna c'è Don Dante con il Punto d'Incontro, altrimenti sarebbe una rovina», riflette Damiano. Quotidianamente devono fare i conti con gli sguardi della gente. «Quando cammino per strada - racconta Leo - a volte mi sento invisibile, è come se non ci fossi». «Altre volte - continua Damiano - invece ti guardano male, ti giudicano e ti prendono in giro per come sei vestito. Anche la polizia ti tratta come un cane: se la sera vuoi stare un po' al caldo in stazione, ti cacciano fuori al freddo». «Manca solidarietà», taglia corto Alessandro. «Non ci sono luoghi di ritrovo, a parte il Punto d'Incontro». E tutti sono d'accordo su una cosa: «La domenica è la giornata più brutta, la città è vuota, ti senti ancora più solo».  Roberto è trentino doc, Damiano, Leo e Alessandro sono arrivati in città da qualche anno. Chi per motivi familiari, chi per lavoro. «Qua - dicono - i servizi funzionano, ma la gente è un chiusa. Non ti accoglie volentieri». Per fortuna, però, le loro giornate sono fatte anche di serenità. «Poter fare quattro chiacchiere con qualcuno è piacevole», dice Roberto. «Giocare a calcio o con il mio cane, Black, mi fa stare bene», continua Damiano. «Leggere un libro, sdraiato sul prato, è il momento più bello», lo segue Leo. «Leggere, o navigare su Internet grazie alla rete wi-fi», aggiunge Alessandro. Nel suo zaino c'è, infatti, un piccolo computer. «Siamo barboni tecnologici», sorride. La voglia di scherzare non manca. «Bisogna guardare avanti col sorriso, altrimenti gli ostacoli non si superano», dice Leo. «La cosa che mi fa andare avanti - dice Damiano, con gli occhi nascosti da occhiali scuri - è sperare in un futuro migliore. Sperare che, tra qualche anno, possa avere un lavoro, una casa, qualcuno con cui stare». «Il mio sogno - conclude Leo, sorridente - è che la Juventus vinca lo scudetto». Si ride, sulla panchina di via Travai. E ci si da appuntamento per la cena alla mensa dei frati Cappuccini.

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