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Trento, doppia preferenza di genere la maggioranza si sfalda

Manca il numero legale, seduta sospesa: pesano le assenze, per il Patt in aula solo Dallapiccola e Ossanna. Manica (Pd): «Urgente fermarci». Ferrari a Borga: «Offensivo ridicolizzare questo ddl»


di Chiara Bert


TRENTO. Ore 4 del pomeriggio: fuggi fuggi di consiglieri, molti della maggioranza, dall’aula del consiglio provinciale - dove si stava discutendo la legge sulla doppia preferenza di genere - per partecipare all’incontro dell’assessore Zeni con i sindaci di Fiemme e Fassa sulla chiusura del punto nascita di Cavalese. Dall’opposizione Rodolfo Borga chiede la verifica del numero legale, che alla votazione dell’ordine del giorno puntualmente manca. Il presidente Dorigatti, come prevede il regolamento, sospende la seduta per un’ora.

Alle 17.20 i capigruppo, visto il rischio che i numeri mancassero ancora, decidono di sospendere i lavori: si riparte ad aprile ma la maggioranza esce dall’aula con le ossa rotte. È la prova, semmai qualcuno ne avesse avuto bisogno, che buona parte dei consiglieri del centrosinistra autonomista non hanno interesse ad approvare il disegno di legge.

All’appello mancavano in molti: del Patt erano in aula solo il capogruppo Lorenzo Ossanna e l’assessore Michele Dallapiccola. Per l’Upt il capogruppo Gianpiero Passamani, l’assessore Mellarini e Mario Tonina. Del Pd mancavano Zeni e il vicepresidente Alessandro Olivi (impegnato a Roma alla conferenza delle Regioni).

«Alla maggioranza non interessa nulla», ha buon gioco ad attaccare Filippo Degasperi (M5S), «quegli stessi consiglieri che fino a ieri definivano la legge una priorità della coalizione e si dichiaravano disposti ad affrontare gli oltre 5mila emendamenti con il coltello tra i denti, oggi hanno abbandonato l’aula (assieme ad alcuni consiglieri di minoranza sostenitori altrettanto agguerriti del ddl) per partecipare all’incontro tra l’assessore Zeni e i sindaci su Cavalese».

La figuraccia cade il giorno dopo la spaccatura sulle sorti del punto nascita di Fiemme, con Patt e Upt impegnati a smarcarsi dall’assessore Zeni e a fare pressing per chiedere una nuova deroga al ministero. Il capogruppo Pd Alessio Manica ammette che quanto successo ieri non è il miglior viatico per il ritorno in aula ad aprile: «Dopo ieri e oggi, è evidente che la maggioranza ha urgente bisogno di fermarsi e di fare il punto al proprio interno. Le singole uscite anche di parlamentari (il riferimento è a Panizza, ndr) che abbiamo visto sui punti nascita non fanno bene. E la leggerezza con cui è stata affrontata oggi la seduta d’aula mi preoccupa molto». «Le riunioni in concomitanza con il consiglio non vanno mai bene», commenta Ossanna di fronte alle assenze dei suoi.

Ieri il consiglio aveva bocciato due ordini del giorno provocatori di Borga per promuovere una campagna educativa ai residenti nelle valli affinché acquisiscano la consapevolezza di quanto sia importante votare i candidati donne e per istituire un comitato di esperti per evitare possibili emarginazioni dei 56 generi sessuali individuati in base all’ideologia gender. «Offensivo ridicolizzare così il tema del disegno di legge», ha reagito l’assessora Sara Ferrari, «l’assenza delle donne dai luoghi decisionali è il risultato di un contesto culturale con secche di maschilismo retrogrado che avvantaggia i candidati maschi».













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