Trento: cibo scadente all'ospedaleI pazienti si lamentano
Sulla qualità del cibo alll'ospedale Santa Chiara di Trento sono state sollevate in questi giorni alcune perplessità. Marisa Pederzolli, ricoverata in cardiochirurgia dal 7 al 14 dicembre del 2009, ha denunciato al Trentino la carenza del servizio
TRENTO. Il lesso che giace nero nel piatto, le zucchine rattrappite, il purè di patate duro e insapore. Ecco un pranzo all’ospedale Santa Chiara di Trento. A denunciarlo è Marisa Pederzolli, 67 anni di Riva del Garda, ricoverata in cardiochirurgia nel dicembre scorso.
L’ospedale non è un ristorante stellato, ma questo non significa che si debba mangiar male. Sulla qualità del cibo al Santa Chiara di Trento sono state sollevate in questi giorni alcune perplessità. Marisa Pederzolli, ricoverata in cardiochirurgia dal 7 al 14 dicembre del 2009, ha denunciato al Trentino la carenza del servizio. «Quando mi portavano il vassoio - racconta - e aprivo il coperchio dei piatti caldi, mi veniva male. Cibi immangiabili che mi facevano passare la voglia di mangiare. In 5 giorni di degenza ho bevuto solo il tè al mattino e qualche fetta biscottata “rubata” alle infermiere di notte. Prima di dimettermi e trasferirmi all’Eremo di Riva del Garda - racconta - mi hanno dovuto fare due sacche di trasfusione da quanto ero debilitata». E assicura. «Anche gli altri degenti erano d’accordo con me: il cibo era davvero pessimo». Poi, svela un dettaglio originale. «Quando mi sono lamentata, un’infermiera mi ha detto che potevo farmi portare il cibo da casa».
Girando tra i reparti dell’ospedale Santa Chiara le sensazioni sono diverse. C’è chi concorda (compreso qualche medico) che il cibo non è il massimo. C’è chi critica la scarsa scelta (soprattutto chi ha ricevuto operazioni di un certo tipo e deve rispettare una dieta rigida). C’è chi invece si accontenta e afferma che «in certi ristoranti si mangia peggio e bisogna tener conto che siamo in un ospedale, non si può pretendere troppo». Ieri abbiamo provato il cibo della mensa del Santa Chiara, dove mangiano i medici e i dipendenti dell’Azienda sanitaria. Menù scelto: pasta in bianco, petto di pollo, patate lesse, insalata. Non eccelso, ma decoroso. Chi mangiava accanto a noi ha comunque assicurato che «quel che arriva ai reparti è diverso», così come è diversa la procedura. Lo spiega Lia Malagò, responsabile del servizio gestione alberghiera e logistica dell’Azienda. «I pasti - afferma - vengono preparati a Ravina dalla ditta Dussmann che nel 2002 ha vinto l’appalto. Subito raffreddati sotto i tre gradi, vengono trasferiti all’ospedale dove una parte viene smistata alla mensa e un’altra divisa in porzioni individuali portate nei reparti. Qui, con degli armadi a induzione, vengono riscaldati a 70 gradi mezz’ora prima del servizio ai pazienti». Malagò assicura che la qualità è garantita. «C’è una equipe che la controlla quotidianamente, ma purtroppo quello del cibo in ospedale è un tema molto delicato. Le lamentele ci sono, ma vista la mole di pasti quotidiani direi che sono fisiologiche. I pazienti devono capire che in un’ospedale c’è un regime alimentare controllato e non possono pretendere di mangiare quel che mangiano a casa. E poi, quando si valuta il cibo, non c’è nulla di peggio che lo stato d’animo. A volte, quando si è fermi in un letto, è facile prendersela col cibo. Comunque un’infermiera non può dire ai degenti di farselo portare da casa».
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