Sottomette e violenta la compagna: a processo 

L’uomo, 50enne della val di Non, aveva trasformato la sua gelosia in ossessione: con un applicazione del telefono di lei controllava ogni suo movimento



TRENTO. Un amore malato che forse amore non lo è mai stato. Una gelosia ossessiva capace di trasformare la casa in una cella e di rendere impossibile la vita. E poi la violenza, il pretendere un rapporto anche se lei, la donna che avrebbe solo dovuto amare, piange e urla il suo «no». Una sottomissione non solo fisica ma anche psicologica che è finita quando lei ha avuto il coraggio di prendere la sua bambina e di scappare. Trovando accoglienza in una struttura dove sta cercando di rimettere insieme i pezzi della sua vita. A due giorni dalla giornata contro la violenza sulle donne, tema al centro di eventi e convegni, quella che raccontiamo è la storia di una donna che ha dovuto fare i conti con un compagno che le ha mentito e che poi aveva deciso che lei era una «cosa» sua, che non doveva avere una vita autonoma, che doveva essere sempre controllata. E non ribellarsi mai. Una storia che si è consumata per diversi mesi in un paese della val di Non e che ora è finita in tribunale con l’uomo, poco meno che 50enne, accusato di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia. Sono stati numerosi i racconti della donna agli inquirenti e sono diventati l’ossatura del capo d’imputazione contro l’ex compagno. Che era geloso in maniera asfissiante. Che vietava sia alla sua convivente che alla figlia di lei di avere contatti con altre persone. Anche la bambina doveva obbedire e le era impedito di andare al parco con gli amici o magari passare un pomeriggio da una compagna di scuola. Un’ossessione per il controllo è quella che emerge dagli atti, con la donna che - quando il marito era assente - doveva essere sempre rintracciabile al cellulare. E quindi non poteva stare in una zona dove non c’era campo. E rispondere ad un cellulare che - secondo la ricostruzione che viene fatta dalla procura - era stato impostato da lui. E quindi lei poteva solo ricevere le chiamate, non farle, e con un’apposita applicazione lui riusciva a sapere sempre dove lei fosse. La «geolocalizzava». Un’ossessione per il controllo che aveva impedito alla donna di tenere se non per pochi giorni un lavoro: le chiamate di lui erano così numerose da metterla in una situazione troppo difficile da gestire. E poi la violenza sessuale consumata nella stanza da letto fra le lacrime di lei. Un’aggressione fisica (e psicologica) che aveva spinto la donna a scappare, a prendere per mano sua figlia e lasciare chi - stando ai suoi racconti - le rovinava la vita.

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